La Nuova Sardegna

Intervista

Il “nuovo” Ghemon dal rap alla stand up comedy

di Paolo Ardovino
Il “nuovo” Ghemon dal rap alla stand up comedy

Il cantante presenta a Cagliari e a Budoni lo show “Una cosetta così” «La comicità è un’arte ma non lascio la musica»

30 agosto 2024
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Non è un concerto, “Una cosetta così” è uno spettacolo. E Ghemon canta giusto qualche brano che fa da cornice. Niente grandi successi. Poi per il resto Ghemon, penna poetica del rap italiano, è impegnato sul palco a far ridere. La sua nuova vita è la stand-up comedy, un microfono e poco altro per riempire il pubblico di battute e monologhi comici. Sarà così stasera a Cagliari all’anteprima di “Forma e poesia nel jazz 2024” e domani per la rassegna “A piedi nudi” a Budoni.

Questo è un tour diverso rispetto a tutti i precedenti. Le date, anzi le repliche, sono già circa 70: come reagisce il pubblico?

«La risposta è molto positiva, ovviamente c’è tanta curiosità all’inizio, qualcuno è diffidente, lo avverto. Ci sono poche informazioni online, e quando chiedi alle persone di fidarsi e basta, conta solo ciò che mostri. C’è poco da barare (ride, ndr) . Lo spettacolo sta funzionando molto col passaparola».

Ecco, si sa ben poco: so che chiede esplicitamente di non divulgare sui social ciò che accade sul palco.

«Ma è una cosa molto comune per la stand-up. Sapevo, già da spettatore, che funzionava al contrario della musica: prima si fa lo spettacolo, poi eventualmente esce sulle piattaforme. Va mantenuto il riserbo per evitare di rovinare le battute, perderebbero di potenza, e ci tenevo a rispettare questa regola. Soprattutto, non volevo finisse tutto in pasto ai social».

Qual è il suo rapporto con la stand-up comedy, prima da fruitore e poi da protagonista?

«Ho cominciato a seguirla verso il 2019, guardavo la stand-up americana. Con un’attenzione diversa ho cominciato ad appassionarmi molto, è un genere di arte, come dico sempre, simile al rap. È democratica nell’approccio, non devi per forza aver frequentato una scuola, puoi pensare di farlo anche partendo da zero. Il passaggio dal sognarlo al farlo davvero, per me è stato lungo. I primi esperimenti furono pre-pandemia: andavo nei locali alle serate open mic per gli emergenti con i miei pezzi scritti».

Allora la passione l’ha tenuta nel cassetto per qualche anno.

«Nel frattempo ho partecipato a due festival di Sanremo, pubblicato due dischi. Poi finalmente ho pensato di voltare pagina e provare a fare una passeggiata verso altri interessi. Sono ripartito daccapo, dai localini, e da contesti dove il mio nome più che un vantaggio era un discrimine, creava diffidenza, “ma come, cosa c’entra lui? ”, cose di questo tipo».

I nomi della stand-up italiana ormai sono usciti dall’underground, sono noti al grande pubblico. Le piace la scena?

«Vero, gli Stati Uniti dominano l’intrattenimento ma, anche in questo caso com’è successo con il rap, ora sta andando via la parte dell’emulazione. Noi in Italia abbiamo una tradizione comica importante, che può inglobare la stand-up. Il piccolo rischio è che sui social questa comicità venga relegata alla battuta di 30 secondi, invece è qualcosa di più composito».

E ora nel suo percorso artistico dove colloca la musica?

«Tra le cose che mi piace sempre fare. Non l’abbandono, continuo prima di tutto a studiarla, è l’unico modo per trovare nuove vie di dire le cose. Otto dischi dopo, o trovi nuova ispirazione o trovi un autore giovane che scriva per te (ride, ndr) . Continuo a scrivere ma per me la musica è una di quelle cose che non devo fare forzatamente».

Una curiosità. Tempo fa ha parlato della sua collezione maniacale di oltre 700 sneakers, con rare edizioni limitate. La passione è ancora viva?

«Sì, a quanto sono arrivato? Troppe. Mi diverte anche se è una passione costosa. Ma ne compro meno di prima, adesso è un collezionismo più intelligente».

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