La Nuova Sardegna

L'intervista

Amedeo Minghi: «Trottolino amoroso non fu capito, è quasi letteratura»

di Alessandro Pirina
Amedeo Minghi
Amedeo Minghi

Il cantautore pubblica il concept album "Anima sbiadita" e si racconta: gli otto Sanremo, la casa in Sardegna, gli incontri con papa Wojtyla

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Amedeo Minghi è tornato. A otto anni dall’ultimo album l’artista romano autore di canzoni che ormai fanno parte della storia della musica ha pubblicato un nuovo lavoro, “Anima sbiadita”, che contiene undici brani inediti, a partire da quello che dà il titolo al disco. Un concept album come si faceva una volta, che vuole essere una sorta di viaggio in cui musica e parole sono le sole traiettorie da seguire.

Minghi, in sala di incisione dopo 8 anni. Quando ha capito che era arrivato il momento?

«Intanto, le tante richieste di messaggi, migliaia di messaggi: perché non pubblichi, quando pubblichi? Potrebbe essere definito un disco a richiesta. Ma allo stesso tempo dico che un artista deve presentare le proprie opere quando ha qualcosa da dire. Una volta i dischi erano pubblicazioni da contratto, oggi non è più così. Ecco, avevo l’esigenza di raccontare».

“Anima sbiadita” è anche la sua?

«È un album che testimonia uno stato d’animo. È la mia ma anche quella degli altri. Siamo diventati troppo sovrastrutturati. Mancano spontaneità, sincerità. Ecco, questo è un album sincero, reale, vero in cui mi sono raccontato in maniera più esplicita che in passato. Era un’esigenza vera: ricordare senza nostalgia. Ma i raffronti con il passato ci sono, perché non se ne può non tenere conto».

Nell’album racconta in parole e musica ciò che viviamo.

«Io mi sono un po’ arroccato, come negli scacchi. Ho scelto di fare un concept album come non si fanno più. Un disco di inediti che non si fanno più. Mi sono messo un po’ in difesa, mi sono trincerato in un passato che per la mia generazione ha fatto cose mirabili. Il presente è così pieno di confusione...».

Il primo ricordo musicale?

«Il primo approccio con gli amici nella classica cantina. Facevamo i Deep Purple, musica sperimentale. Ma che io avrei fatto questo mestiere era già deciso. Tanto che un giorno andai alla Ricordi a Roma e c’era Stelvio Cipriani che provinava noi ragazzetti. Feci il mio bel provino con spartiti di Lauzi, Tenco, Paoli, Endrigo e dopo qualche settimana mi chiamarono a firmare il contratto. Nacque così la prima canzone. Era tutto così limpido, sereno, semplice».

Il primo incontro importante della sua carriera?

«Claudio Saintjust, grandissimo musicista. E poi Edoardo Vianello e Vincenzo Micocci che mi ha prodotto. Lui è stato l’inventore dei grandi cantautori: De Gregori, Venditti, Gaetano».

Per il suo primo album scrisse i testi anche De Gregori.

«Sì, abbiamo fatti alcuni brani insieme. Ne facemmo uno come autori anche per Gianni Nazzaro. E anche Marisa Sannia incise una nostra canzone».

In quegli anni compone per tanti artisti, da Morandi a Mia Martini, da Marcella Bella ad Anna Oxa. C’è una canzone che avrebbe voluto tenere per sé?

«Sì, ce n’è una a cui sono molto affezionato: “Firenze piccoli particolari”. La Rca volle portarla a Sanremo con una cantante (Laura Landi, ndr), io non ero d’accordo. Andò malissimo. Invece era ed è molto bella. Avrei dovuto cantarla io da subito».

Sanremo 1983. Una delle sue canzoni più belle, “1950”, venne eliminata. Come visse quella delusione?

«In realtà non volevo neanche partecipare. Era una canzone articolata, lunga 5 minuti, che dovetti ridurre a tre: fu massacrata. Dunque, mi aspettavo l’eliminazione, ma fu abbastanza traumatico. Anche perché l’accoglienza in sala e della critica fu fantastica. Ma ero in buona compagnia: Vasco arrivò penultimo e i Matia Bazar con “Vacanze romane” non furono capiti».

Sanremo 1990 è il successo di “Vattene amore” con Mietta, il “trottolino amoroso”. Quel ritornello ancora la perseguita?

«Solo per certi versi. Quello è un testo scritto con Pasquale Panella, quasi letteratura. Uno dei brani più belli che abbia inciso, ma il pubblico ha sempre capito il contrario. Parla di una coppia che non vuole arrivare a chiamarsi con quei nomignoli, l’opposto di quel che si crede. Non siamo riusciti a farlo capire».

A Sanremo è stato otto volte in gara. Ci sarà una nona?

«A Carlo (Conti, ndr) ho detto: io sono pronto. Con Panella ho scritto una cosa interessante e se mi chiama ci siamo. Non si sputa mai nel piatto in cui si ha mangiato».

“Un uomo venuto da molto lontano”. Come era da vicino Papa Wojtyla?

«Ci siamo visti più di una volta. Non è facile da spiegare. Era un uomo di grande forza morale, umano, semplice. Quando ci incontrammo mi chiese di portargli il testo perché non aveva capito bene le parole. Era innamorato di questa canzone».

Nel nuovo album canta “Non credo più a niente”. Qual è oggi il suo rapporto con la fede?

«In questo momento l’uomo è molto deprimente. Siamo guardoni di tutto ma anche portatori di grandi solitudini, tutti incollati sul tablet, sul cellulare. E poi 70 guerre nel pianeta, ricchezze immense e povertà estreme. Non è un buon momento. Sono deluso dall’umanità».

Il 14 parte il tour da Orvieto. Manca la Sardegna...

«È un po’ di anni che non mi chiamano, purtroppo la Sardegna fa più fatica a organizzare rispetto alla Sicilia. C’era un periodo che mi chiamavano tanto, venivo spesso a fare concerti nelle piccole discoteche di provincia, ne ricordo tante nel Nuorese. E per anni ho avuto anche una casetta a Cala di Volpe».

Che musica ascolta?

«Pochissima, sono un pessimo ascoltatore».

Un artista che le piace?

«In questo marasma qualcuno c’è. Penso a Diodato. Anche Gabbani scrive bene. Ultimo canta bene ma non mi piace quello che canta».

Ha partecipato a un convegno voluto da Giorgia Meloni. Una sorta di arruolamento?

«Io non ho tessere, ho a mala pena la patente. Non avevo mai visto la Meloni, mi hanno invitato e sono andato ad ascoltare la presidente del Consiglio. Sono andato lì senza alcuna prevenzione o partecipazione. Io sono solo Cavaliere della Roma».

Nella sua carriera ha fatto otto Sanremo, Ballando con le stelle, la colonna sonora di Fantaghirò, ha scritto un libro: ora cosa vorrebbe fare?

«Ho in animo un musical, di quelli veri che si fanno in America. Chissà. La musica è infinita e può accadere di tutto».
 

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