Ecco CL1, il primo computer biologico al mondo
Basato sull’uso di neuroni umani, la macchina di Cortical Labs servirà a combattere malattie come Alzheimer e Parkinson
Barcellona In un’epoca digitale, dove ci si abitua sempre più ad una realtà fino a pochi anni fa ritenuta fantascientifica, bisogna aspettarsi dei colpi di scena. Le rivoluzioni sono dietro l’angolo e lo sviluppo va così veloce che è difficile prevederle o, addirittura, farci caso. Adesso però, scienza e tecnologia hanno fatto un passo che non può passare inosservato: è nato CL1, il primo computer biologico al mondo. Creato dalla startup biotech australiana Cortical Labs, utilizza neuroni umani per eseguire delle operazioni che, a lungo termine, potrebbero rappresentare una svolta: fra i vantaggi, l’aiuto nella cura di patologie come l’Alzheimer e il Parkinson.
Il CL1 «I neuroni vivono in un mondo creato artificialmente dal nostro sistema operativo ‘Biological Intelligence (biOS). Il sistema gestisce lo stesso mondo simulato e invia informazioni ai neuroni sull’ambiente circostante: quando i neuroni reagiscono, i loro impulsi influenzano il mondo simulato». Questa l’invenzione di Cortical Labs, azienda pronta a dimostrare quanto sia concreto un progetto che unisce uomo e macchina. Particolare l’idea che ne sta alla base. I neuroni utilizzati per il CL1 arrivano da campioni di sangue umano donato volontariamente e sono stati coltivati in laboratorio. I ricercatori prendono dai campioni di sangue alcune cellule, che vengono trasformate in cellule staminali, poi fatte crescere fino a diventare neuroni. Dopo essere stati posizionati su un chip di silicio, i neuroni formano una rete neurale capace di apprendere dagli stimoli ricevuti. Ed è così che è stato creato il primo computer biologico di sempre, un apparecchio a forma di scatola dove i neuroni vivono in maniera autosufficiente, grazie ad una soluzione che li tiene vivi.
Dal Pong al Parkinson Così, nel 2021, il team australiano ha insegnato a un primo gruppo di neuroni umani a giocare a Pong https://www.youtube.com/watch?v=GJaXiR_uvVI&t=9s. Come? Collegandoli a una simulazione e fornendogli feedback in tempo reale. Cosa che ha portato gli stessi neuroni a modificare i propri movimenti durante il gioco, quindi imparare: un’intelligenza artificiale (IA) biologica. Risultato che ha attirato l’attenzione della scienza moderna e ha dimostrato le potenzialità della scoperta. La natura dei neuroni umani, che si adattano velocemente con meno informazioni rispetto ad un’IA artificiale, riduce i tempi di sviluppo e contribuisce alla bassa richiesta di dati da parte del computer in cui sono inseriti. E adesso la Cortical Labs vuole ampliare i propri orizzonti. Il CL1 permette di studiare malattie neurologiche come Alzheimer e Parkinson, disturbi cognitivi o testare farmaci. L’obiettivo è chiaro: risolvere problemi e portare benessere.
I limiti Nonostante le aspettative siano alte ed esistano dei punti già consolidati, il CL1 si trova ancora ad una fase embrionale. Non può, per il momento, svolgere compiti complessi come quelli di altre intelligenze come Chat Gpt, di OpenAI, e la sua resistenza è ancora limitata. Questo perché la vita dei neuroni biologici, come confermato dagli scienziati dell’azienda, dura solo sei mesi all’interno dell’ambiente che li accoglie.
Il futuro Il CL1 è stato lanciato al Mobile World Congress di Barcellona, importante fiera della telefonia mobile, dove è stata anche annunciata l’uscita. Entro giugno 2025, il prodotto potrà essere preso su ordinazione al prezzo di circa 32 mila euro. Una cifra che rende accessibile l’apparecchio ai ricercatori di tutto il mondo. Di certo un’invenzione dal valore incalcolabile per quanto riguarda il progresso scientifico, che però, come ogni nuova incognita, porta con sé dei dubbi. Una volta trovata risposta al quanto sia corretto creare macchine “ibride” e alle questioni sull’influenza di tali sistemi nella società, è giusto usare una parte del nostro corpo, anche se microscopica, per costruire una macchina? Va bene sfruttare così delle cellule umane? Cortical Labs segue la propria direzione e rassicura: «Ogni cultura neuronale viene trattata come materiale da laboratorio, senza input che possano generare esperienze dolorose».