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Buon gusto – Speciale frutti di mare

Le ostriche di San Teodoro, servite a crudo o con una maionese speciale

di Lorenzo Musu
Le ostriche di San Teodoro, servite a crudo o con una maionese speciale

L’ostricoltore Alessandro Gorla e lo chef Salvatore Porcu uniscono competenze e creatività per valorizzare un prodotto locale d’eccellenza protagonista di piatti freschi sostenibili e raffinati

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Quando il mare incontra il cibo, la mente inizia a viaggiare. Pesci, crostacei e molluschi lavorati da ristoratori e chef per creare piatti dalle combinazioni uniche, che restino. A San Teodoro c’è un particolare prodotto che, per tradizione e qualità, si distacca dagli altri: l’ostrica. Una peculiarità locale, vanto di un’isola intera, allevata nella laguna paesana da Alessandro Gorla, ostricoltore romano trasferitosi in Sardegna nel 2003. Sulle stesse acque si affaccia il ristorante “La Pischera” dell’imprenditore nuorese Angelo del Rio, il primo a sfruttare i vantaggi di una produzione così vicina e importante.

«L’ostrica è storicamente una risorsa francese. Quella di San Teodoro però, anche a detta di francesi che l’hanno provata sull’isola, è di altissima qualità – afferma Del Rio –. È un prodotto che negli ultimi quindici anni ha avuto uno sviluppo esponenziale. Per due motivi: primo perché a noi fa piacere trattare prodotti locali, secondo perché, producendo in Sardegna, i prezzi dell’ostrica si sono abbassati molto e il cliente riceve un prodotto più economico». «Principalmente lavoriamo l’ostrica a crudo, ovvero a una temperatura bassa, tra zero e tre gradi. Servire le cose al massimo della loro freschezza è la cosa più giusta e naturale da fare. È questo che dà al mollusco il suo particolare gusto – spiega lo chef oristanese Salvatore Porcu, l’uomo dietro i fornelli de La Pischera e del 12.1 di Porto Taverna».

Per lui è questo il modo migliore in cui un’ostrica si possa presentare al cliente, ma non esclude diversi metodi altrettanto gustosi. «Un altro modo potrebbe essere a vapore, quindi un’ostrica accompagnata da una maionese o altre salse, come la salsa vernese. Noi utilizziamo una maionese agli agrumi – sostiene Porcu - . Oppure cotta: oltre farle impanate o fritte, possiamo inserire l’ostrica a crudo nella fase di componimento di un primo, per farle scaldare lentamente con la temperatura di uno spaghetto o un pacchero. Come nei paccheri ai ricci di mare, dove l’aggiunta dell’ostrica esalta il sapore del mare».

In quest’ultimo caso «vengono messe alla base del piatto, così la pasta sopra scalda e mantiene il sapore del mollusco». Dietro questa scelta c’è una precisa ragione. «Il mollusco è composto quasi interamente d’acqua, per cui in cottura si restringe in maniera notevole e non si gusta al meglio. Ecco perché al massimo va usato così, semicotto». Ma con ancora più fantasia «si possono anche fare delle salse, pastorizzandole (quindi tenendole ad una temperatura fra i 64 e gli 84 gradi), poi in sottovuoto e accompagnandole da oli o grassi, prima di frullarle. Così nasce la nostra maionese di ostriche», racconta lo chef di Oristano. Le ostriche selezionate da Del Rio per i suoi due ristoranti sono diverse da quelle del resto del mondo. Arrivano dal mediterraneo e si trovano nella stessa laguna di San Teodoro, scelte per la loro maggiore capacità di sopravvivenza ed esaltazione del sapore. Di rara qualità. Dalla laguna passano a Olbia per la stabulazione, per essere pulite.

«Quello delle ostriche è uno degli allevamenti più diffusi al mondo. Allo stesso tempo è un allevamento sostenibile e senza controindicazioni – racconta Alessandro Gorla, ostricoltore della laguna di San Teodoro. Basti pensare che per fare un chilo di carne si consuma la stessa co2 che serve per fare cento chili di ostriche. Non inquina». Per il romano, l’allevatore ha un solo compito. «Far star bene l’animale. Serve il giusto nutrimento e clima, ecco perché le ostriche allevate sono migliori rispetto a quelle selvatiche. Per le condizioni, perché si occupano di lei. Si può allevare in vari posti: dal mare alla laguna, fino agli ambienti più estremi».

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