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Musica

Giancane a Rock and Bol: «Il potere della musica è farci sentire meno soli»

di Caterina Cossu
Giancane a Rock and Bol: «Il potere della musica è farci sentire meno soli»

Il cantautore ospite del festival il 25 luglio: «Lavorare con Zerocalcare? È facile, i buchi neri di cui parliamo sono quelli di tutti»

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«Sono contentissimo di essere ospite a Bolotana, non vedo davvero l’ora perché pure io sono metallaro dentro. Non ci sono discriminazioni di genere nella musica e anche io ascolto dagli Iron Maiden agli 883. È un peccato che sia solo una data, avrei fatto volentieri più concerti. Venire in Sardegna è sempre difficile per via dei collegamenti, ma è un gran piacere». Giancarlo Barbati Bonanni, classe 1980, nella vita è prima di tutto un produttore. Con la musica ha iniziato nel 2005 facendo il fonico. Oggi però, prima di tutto, è Giancane ed è considerato uno dei cantautori più illuminati della sua generazione.

Sarà a Bolotana il 25 luglio, per la prima delle due serate di Rock and Bol, che per l'edizione 2025 raddoppia e, accanto allo storico appuntamento con il metal quest'anno affidato agli Onslaught, affianca una prima serata con generi diversi ma affini, dove il cantautore romano dividerà il palco con Il Teatro degli Orrori. Il grande pubblico ha conosciuto la musica di Giancane nel 2021, quando ha musicato la serie animata di Zerocalcare per Netflix, “Strappare lungo i bordi”, e poi la seconda nel 2023, “Questo mondo non mi renderà cattivo”. «Ci sono temi ricorrenti tra me e Michele (Rech, vero nome di Calcare, ndr), è vero - spiega il cantautore romano -. Ci conoscevamo, ma non benissimo. Poi dal 2013 con vari progetti fino alla copertina di “Ipocondria” nel 2018 abbiamo definitivamente legato. Lavorare insieme è facile, i buchi neri di cui entrambi parliamo sono quelli di tutti noi».

Il processo creativo di Giancane è molto intimo: «Cerco le parti oscure dentro di me e se incontrano quelle delle altre persone accade sempre che ci sentiamo meno soli, perché ci scambiamo un briciolo di serenità. La vita ha valore in questo, è un dare-avere di cose non materiali. Ora ho allargato il mio pubblico di riferimento, ma resto fedele a me stesso e alle cose che ho sempre fatto». Il suo rock dalle sfumature punk è per lo più uno sfogo, come la prima canzone che ha scritto, “Vecchi di mer*a”: «Sono un produttore, passare dall’esperienza del gruppo alla carriera solista è stato uno switch importante, non avevo mai scritto per me stesso, né cantato - racconta -. Fare per gli altri è diverso che fare per me. Mi capita a furia di suonare un mio pezzo che nel frattempo io mi sia trasformato, allora posso trasformarlo, oppure arrivare a un punto di esasperazione e accantonarlo».

E se è vero, come diceva il filosofo Mark Fisher, che la depressione è una patologia del Capitalismo, la musica può essere il toccasana: «La continua gara a possedere ci porta davvero a perdere l'equilibrio, bisogna invece cercare di mantenerlo il più possibile. Io ho trovato il mio sfogo nella musica, è bene che tutti cerchino una qualche forma di espressione. Fregarsene anche delle critiche e del perbenismo è la chiave, bisogna andare avanti. Se ci dessi peso non potrei fare quello che faccio, cioè scavarmi dentro e restituirlo a chi lo vuole ascoltare per sentirsi meno solo».

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