Peter Cameron in tour nell’isola: «Le storie nascono dai nostri drammi»
L’autore americano dopo la tappa a Santa Teresa è ospite a Sassari e a Cagliari per parlare della sua ultima raccolta di racconti
Nelle ultime ore il grande scrittore americano Peter Cameron era a Santa Teresa. Prima in dialogo con Paola Soriga per un incontro della rassegna “Ligghjendi”. Pubblico numeroso, autografi, domande, riflessioni sulla scrittura e sul mondo. Poi a zonzo per il paese con Flavio Soriga.
Oggi Cameron continua il mini tour nell’isola con la presentazione a Sassari al Padiglione Tavolara con Alessandro De Roma e venerdì 27 giugno a Cagliari al conservatorio in dialogo con Michele Biccone. Appuntamenti organizzati da Lìberos per il festival Éntula. Si parla soprattutto della raccolta di racconti “Che cosa fa la gente tutto il giorno?” (Adelphi).
Libro in cui racconta storie di vita che a prima impressiono possono sembrare strane e lontane, ma che invece si rivelano molto vicine alla realtà che viviamo, nelle nostre case, con le nostre famiglie, nelle nostre relazioni. Ognuno di noi è coinvolto ogni giorno in piccoli drammi personali?
«Sì, credo che tutte le nostre vite siano fatte di drammi personali – forse non ogni giorno, ma abbastanza spesso da rendere le nostre vite impegnative e interessanti. Questi drammi non comportano sempre azioni violente o interazioni con gli altri; abbiamo relazioni con noi stessi che possono generare conflitti interiori altrettanto drammatici e diventare basi per delle storie. Per questa ragione non credo che le storie che scrivo siano poi così strane o lontane, credo che siano tutte storie che vengono fuori dalla nostra esperienza umana condivisa».
Per lei qual è la differenza sostanziale tra un racconto e un romanzo?
«Per me dipende da come viene sviluppata l’idea narrativa. I racconti sono molto più simili alle poesie che ai romanzi. Sono come dei numeri primi, indivisibili e completamente integrali. I romanzi sono espansivi e complessi. Amplificano una narrazione. I racconti la riducono. Sono due modi veramente diversi di guardare la vita».
Nel suo ultimo libro ci sono storie scritte in tempi diversi. Una di queste, quando aveva 20 anni. Come e perché la scrittura cambia nel corso del tempo?
«Scrivo da più di 40 anni e penso che la mia scrittura sia cambiata lentamente, ma è difficile per me descrivere questi cambiamenti perché non mi piace pensare in modo analitico riguardo la mia scrittura. Però posso dire che penso il mio stile sia stato cambiato tanto da forze interne quanto esterne: dal mio sviluppo come essere umano, e anche dal mio sviluppo come lettore. Mi colpisce molto ciò che leggo e sono sicuro che l’evoluzione del mio stile sia in tanti modi un riflesso degli autori che leggo».
Lei è tra gli autori americani maggiormente apprezzati in Italia, in che direzione sta andando la letteratura americana in questo momento?
«I lettori americani sembrano interessati a leggere memorie o auto-fiction (narrativa autobiografica) piuttosto che leggere racconti o romanzi di fantasia. Non lo so perché sia così e non condivido questa preferenza. Io leggo ancora una narrativa convenzionale nel suo approccio, perché penso che il romanzo sia una forma d’arte che non ha bisogno di essere reinventata. In quasi tutti gli aspetti tecnici e formali, i miei romanzi, e i romanzi di oggi che leggo, non sono diversi da quelli che Jane Austen scrisse più di 200 anni fa».
Prima di questo giro di presentazioni in Sardegna, conosceva già l’isola?
«Ho visitato Cagliari due volte tanti anni fa, quindi sono davvero felice che in questo viaggio potrò vedere diverse parti dell’isola: Santa Teresa Gallura, Sassari, Alghero. Sono incantato dalla bellezza che vedo ovunque vada. In Sardegna, il mondo naturale e il mondo creato dall’uomo sembrano coesistere piacevolmente, e dunque sono felice quando sono qui. È un posto bellissimo».
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