Valerio Aprea: «Che bella scoperta la scrittura di Sergio Atzeni: è raffinata e selvatica»
L’attore romano porta sul palco i racconti dello scrittore con “In città” ad Arzachena, Nora e Alghero
La conversazione è al telefono, ma sembra di stare su un set. Attorno alla voce di Valerio Aprea ci sono rumori di posate e piatti che sbattono, un gran via vai e un vociare continuo. «Scusami, sto mangiando». Meglio in un altro momento? «No, no, ci mancherebbe».
Tra pochi giorni l’attore romano sarà in Sardegna con “In città” (produzione 369gradi), una lettura scenica, insieme ad Adele Madau al violino, che parte dalla raccolta di racconti “I sogni della città bianca” di Sergio Atzeni. Non tra gli scritti più famosi dello scrittore di “Passavamo sulla terra leggeri”, un’occasione per riscoprirlo a trent’anni dalla morte. “In città” arriva in tre tappe, l'anteprima venerdì 11 luglio al nuraghe Albucciu di Arzachena per la stagione estiva di Ama, la prima nazionale sabato 12 luglio nell'area archeologica di Nora per il festival "La notte dei poeti", domenica 13 luglio a Lo Quarter di Alghero per la rassegna Alghero estate, triplice appuntamento sotto le insegne del Cedac Sardegna.
Come ha preso vita questo omaggio ad Atzeni?
«È nato dall’iniziativa di Valeria Ciabattoni, mi ha chiamato per propormi un autore che fin lì non avevo mai sentito nominare. Mi ha mandato il libro, l’ho letto e sono rimasto senza parole. Poi con Valeria Orani è nata questa mini produzione».
Mi racconta la sua personale scoperta di Atzeni?
«Ho scoperto un autore eccezionale e... come posso definirlo... fuori dagli schemi. Un cavallo sciolto, pieno di furore ma con uno stile tutto suo, con una raffinatezza selvatica ma ultra sofisticata e soprattutto ribelle e anarchica. In scena leggo quattro racconti, quelli in prima persona, si prestavano meglio. Sono testi surreali, a tratti distopici, che hanno una loro visionarietà e inventiva. Davvero, una prepotenza creativa che sorprende».
Passiamoli in rassegna, il primo si intitola “Delirio maschile”.
«Un delirio vero e proprio di un individuo non bene identificato che girovaga per una città, una Cagliari mai citata ma a cui si allude. E questo tizio si imbatte in personaggi fantascientifici, a metà tra “Blade runner” e “Guida galattica per autostoppisti”».
E la “Storia di una monaca”?
«La voce narrante è di una persona che sta al funerale della sorella e ne sparla. Uno sproloquio dove dice peste e corna della morta, è piuttosto buffo, mi piace tra l’altro pensare che la voce sia una donna, l’ho immaginata così».
Veniamo a “Caro Leonardo Sole”.
«Anche qui un delirio. Il narratore parla di una scultura di legno al suo fianco come se fosse un critico d’arte, con un modo sopraffino, arzigogolato. Si tratta di un funambolismo letterario incredibile».
Infine “Destino Questurino”.
«Il racconto più cinematografico, è un poliziotto che parla, descrive una sua giornata, può sembrare benissimo una scena da serie tv o da film. Anche qui si racconta di uscire dagli schemi ma a parlare è chi le regole dovrebbe farle rispettare. Però si deraglia».
In questi anni dà voce sul palco ai testi di Mattia Torre, a cui rimane molto legato, stavolta cimentarsi con uno scrittore lontano da lei e lontano nel tempo com’è stato?
«Un’occasione ghiotta e privilegiata per conoscere un autore che ignoravo – faccio mea culpa – e confrontarmici con i miei mezzi di attore. Questa è una bellissima opportunità per diversificare il mio approccio al mestiere».