La Nuova Sardegna

L’intervista

Sandro Giacobbe: «La mia svolta al concerto dei Beatles. Il tumore? Si combatte, mai arrendersi»

di Alessandro Pirina
Sandro Giacobbe: «La mia svolta al concerto dei Beatles. Il tumore? Si combatte, mai arrendersi»

Il cantautore genovese si racconta: «Ho tolto la parrucca da Mara Venier: allora ero così, perché nasconderlo? Ma ora i capelli sono ricresciuti»

5 MINUTI DI LETTURA





Cinquant’anni fa la sua “Signora mia” conquistò l’Italia. Fu l’inizio di una carriera che portò Sandra Giacobbe sui più importanti palchi internazionali della musica. Il Festivalbar, la Gondola d’oro, Sanremo, dove nel 1976 ottenne il terzo posto con “Gli occhi di tua madre”, pure il cileno Viña del Mar, dove nel 1990 fu medaglia d’argento. Senza contare tutti gli stadi d’Italia in cui ha giocato con la maglia della Nazionale cantanti, di cui è uno dei fondatori, l’allenatore e il secondo per numero di presenze in campo.

Giacobbe, lei da bambino cosa voleva fare?
«Il cantante. È sempre stato il mio sogno. Avevo 10 anni, allora non era facile trovarsi in mezzo agli strumenti. Ma ero in vacanza in Basilicata, nel paese di mia madre, Genzano di Lucania, e il barbiere aveva una chitarra. Fu nel suo salone che imparai a strimpellare le prime cose».

Che musica ascoltava?
«Quando ero bambino alla radio trasmettevano Claudio Villa. Poi sono iniziati a uscire Modugno, Al Bano, la Cinquetti. Fino a che non c’è stato il boom dei Beatles. Da quel momento la mia curiosità musicale si è ampliata. Beatles e Battisti sono stati i progetti più importanti che mi hanno spinto a fare di più».

Ha conosciuto Battisti?
«L’ho visto un paio di volte, ma era un tipo schivo, un po’ scontroso, non amava dialogare, incontrarsi. Non siamo andati oltre il “ciao, come va?”».

Quando ha capito che la musica sarebbe potuta diventare più di una passione?
«Nell’aprile 1965 ebbi la fortuna di assistere al concerto dei Beatles a Genova. Fu un evento incredibile. Uscendo da lì capii che dovevo trovare una chitarra e tre ragazzi che avessero voglia di fare gruppo. Nell’estate ’67 andai a fare la stagione a Rimini, a settembre tornai a Genova e misi su un complesso con cui iniziai a scrivere i primi brani, che portavo a Milano a fare ascoltare alle case discografiche».

Primo singolo nel 1971, “Per tre minuti e poi...”.
«Non fu un successo, ma mi portò a scoprire le radio, le interviste, tutto un mondo che per me era nuovo. Con quella canzone pensavo di fare chissà cosa, invece mi fermai...».

Fino al 1974, quando con “Signora mia” spopola.
«Negli anni avevo continuato a scrivere e a portare a Milano le mie canzoni. Andai alla Cgd e tra le tante c’era questa “Signora mia”, che non avevo neanche finito. Quando terminai di cantare mi fecero: “Partiamo da qui, è la più bella che ho sentito”. Sei mesi dopo il mio primo lp era pronto, iniziò la promozione tv e lì cominciai a capire cosa fosse il successo. Mi riconoscevano per strada, ad “Alto gradimento” di Arbore e Boncompagni mi trasmettevano tutti i giorni».

E Lina Wertmüller la scelse anche per la colonna sonora di “Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare di agosto”.
«La volle perché il film parlava di questa signora che lei legò a quella del disco. La scena di Giannini che si avvicina al juke box, mette 100 lire e parte “Signora mia” è azzeccatissima».

La prima volta in Sardegna?
«Fu nel 1976 dopo Sanremo, a Quartu Sant’Elena. C’erano 40mila persone, non posso dimenticarlo. Ricordo una ragazzina che era svenuta tra il pubblico, la portarono sul palco, io la salutai e lei svenne di nuovo».

Che legame ha con l’isola?
«Sono stato tante volte. Mi fa piacere venire a trovare Lucio Tunis, che conosco da anni. Un ottimo intrattenitore, ogni volta che ci incontriamo mettiamo su qualcosa tra voce, chitarra e fisarmonica: è un vero piacere».

Capitolo Sanremo: cosa rappresenta per lei il festival?
«Io l’ho fatto in tutte le location: Casinò, Ariston e Palafiori. Il primo lo ricordo con un po’ delusione, ero primo, mancava solo l’ultima votazione in cui toccava anche al giornale di Genova, il Secolo XIX. Invece, finii terzo. Ma la canzone ebbe talmente successo che mi passò subito».

Rivalità con i suoi colleghi?
«Un pochino tra me e Baglioni. Ogni anno era una gara per avere la canzone hit. Lui era uscito un anno prima, io nel ’74. Ai tempi ci fu un’ondata di cantautori: Cocciante, De Gregori, Minghi. Poi la musica è cambiata, è arrivata la disco e ci ha bloccati un po’ tutti. E negli anni ’90 ancora altra musica. La melodica cantautorale è durata una decina d’anni».

Lei è tra i fondatori della Nazionale cantanti.
«È stata una grande opportunità per fare del bene a chi nella vita è stato più sfortunato di me. Io sono socio fondatore da quando Mogol ci chiamò a farne parte. I più famosi eravamo 6 o 7: io, Morandi, Tozzi, Riccardo Fogli, Roberto Soffici. Dovevamo andare a cercare altri cantanti per arrivare a 11. Io sono ancora lì, forse l’ultimo insieme a Ruggeri. Dispiace vedere che la storia della Nazionale si sia un po’ persa perché è mancato il ricambio generazionale».

Il più forte in campo?
«Ligabue è un bel mediano. E Ramazzotti un ottimo attaccante. Anche Morandi gioca bene, ma gli altri due sono di un livello superiore».

E il meno portato?
«Forse Nek. Ma ricordo anche Marco Carta: col calcio c’entrava davvero poco. Fare parte della Nazionale non era solo giocare, ma essere presenti».

Ha un rimpianto?
«Quando vinsi la Gondola d’oro nel 1976 non andai a ritirarla. La mia casa discografica mi fece fare una sorta di ricatto all’organizzatore: se non prendi Leali e la Cinquetti, Giacobbe non viene a ritirare il premio. Non cedettero e io dovetti rinunciare a una vetrina importantissima in Eurovisione».

Oggi chi le piace?
«Tananai, Ultimo, Mengoni. Tra le donne Annalisa e la Amoroso. I talent hanno permesso di fare uscire bravi artisti. Certo, sono talmente tanti che molti sono destinati a non avere successo e questa frustrazione se la porteranno dietro tutta la vita».

Qualche mese fa si è mostrato senza parrucca da Mara Venier.
«È stata una cosa istintiva, nulla di programmato. Mara è rimasta senza parole. In tanti mi hanno scritto, hanno apprezzato. Le partite si giocano, le malattie si combattono, possono finire bene o male, mai arrendersi dall’inizio. E soprattutto non dobbiamo vergognarci di niente. La parrucca, allora, faceva parte del mio essere, perché nasconderlo? Ora, però, i capelli sono ricresciuti e sono più belli di prima».

Primo piano
Incidente

Auto fuori strada sulla Provinciale 15, muore un 20enne – Ecco chi era la vittima

di Alessandro Mele
Le nostre iniziative