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Beppe Dettori: «Da Stintino al palco di Sanremo, la mia vita è tra l’isola e la musica»

di Federico Spano
Beppe Dettori cantante e musicista in concerto con la band dei Tazenda nel 2010
Beppe Dettori cantante e musicista in concerto con la band dei Tazenda nel 2010

L’ex frontman dei Tazenda si racconta: un percorso costruito con sacrifici, incontri decisivi e scelte coraggiose

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Quando era piccolo, a casa non suonava mai per non disturbare. Così attraversava la strada con la sua chitarra sotto braccio e, appollaiato sul muretto che si affacciava sulla piccola spiaggia del paese, passava ore a cantare, a cercare accordi, provare gli arpeggi o i ritmi delle canzoni degli anni 60 e 70.

Essere cresciuto in un piccolo centro, dove la natura è un dono di Dio e una meraviglia per gli occhi, è stata una fortuna. Beppe Dettori, 60 anni, ex frontman dei Tazenda, però lo ha compreso soltanto da grande. Forse durante i lunghi anni passati a Milano, costruendo giorno dopo giorno, palco dopo palco, la sua carriera di cantante e chitarrista. Oppure, tra un concerto e l’altro, in Germania con Eros Ramazzotti o in tour con Gianluca Grignani. La bellezza, che per tutta l’infanzia ha nutrito i suoi occhi, è venuta fuori nella sua musica, nella sua voce straordinaria e nella sua creatività senza confini. Il piccolo paese in cui è nato e ha vissuto fino ai 13 anni è Stintino, che all’epoca non era ancora la super affollata meta turistica di oggi. «Quando c’era levante, la schiuma delle onde arrivava fino a casa, riempiendo tutto di salsedine. All’epoca non era stato ancora costruito il molo della Marina e il mare ti entrava letteralmente in soggiorno».

Lasciare la Sardegna, per chi vuole vivere di musica, è spesso una tappa obbligata

«Alla fine del 1979 la mia famiglia si è trasferita a Sassari, lì ho imparato a cantare grazie al periodo passato alla corale Canepa. Ma pochi anni dopo, nel 1987, ho deciso di fare il grande salto e di trasferirmi in “Continente”. La bellezza diventa la normalità, quando cresci in un posto come Stintino. Ma quando vai a vivere a Milano, nell’oscurità più profonda, ti rendi conto della fortuna che hai avuto. Per anni ho girato nel Nord Italia, vivendo a Treviso, dove ho fatto il militare, a Novara e in Brianza. Ma alla fine ho scelto Milano come mia seconda casa e lì ho creato la mia seconda famiglia. Una famiglia fatta di amicizie profonde. La chitarra l’ho imparata da autodidatta, ma per il canto ho avuto una bravissima insegnante, Carla Rampinelli».

La strada verso il successo è fatta di grandi sacrifici

«Per vivere a Milano ho fatto i lavori più disparati, l’operaio, l’agente immobiliare, l’impiegato all’Ente cinofili italiani. Poi ho trovato un posto come centralinista e sono andati avanti per quattro anni. Era comodo perché facevamo i turni e avevo molto tempo libero per fare musica. È stato in quel periodo che ho conosciuto Fabio Concato, è stato lui a insegnarmi a scrivere canzoni».

Poi sono arrivati i primi contratti discografici

«Nel 1993 ho firmato con la Ricordi, grazie alla mia amicizia con Eros Ramazzotti, e ho fatto il Cantagiro. Poi, un altro contratto discografico con l’etichetta Ariston, che aveva nella sua scuderia tutti i cantanti principali italiani (Gino Paoli, per citarne uno, ndr) . Per tre anni hanno cercato di portarmi a Sanremo: ho anche fatto colloqui con Pippo Baudo. Ma erano promesse che non venivano mai mantenute. Ti destabilizzavano. Avevo 25 anni, volevo diventare famoso senza una vera ragione. Diventare famoso sarebbe stato un contentino per i miei, perché me n’ero andato dalla Sardegna per tentare la fortuna in un lavoro così aleatorio come quello del musicista».

A metà degli Anni 90, lascia il posto fisso e punta tutto sulla musica

«A un certo punto ho deciso di lasciare il lavoro da centralinista. Dalle serate guadagnavo piuttosto bene e avendo più tempo a disposizione ho fatto il corista, il vocalist nelle pubblicità, in Mediaset, alla Rai. La mia prima chance è arrivata nel 1997, facendo la voce solista di una band sarda. Io e il fondatore stavamo a Milano, la band si chiamava Tanca Ruja e oltre a me e Pino Martini, bassista, c’erano Uccio Soro, Paolo Erre e Paolo Zannin. Abbiamo fatto il primo album in sardo, con discreti successi della critica. L’esperienza è durata fino al 1999».

A un passo dal festival di Sanremo

«In quegli anni, oltre a suonare con i Tanca Ruja, avevo anche l’altra mia strada parallela, perché cercavo di portare avanti i miei brani. Venne fuori un singolo che si chiama “Senza di te mai”, cercarono di portarmi a Sanremo senza riuscirci. Altra occasione la ebbi nel 2005, alla commissione piacque il pezzo, ma non avevo l’età. Avevo già 39 anni e il limite per Sanremo giovani era di 37 anni. Sul Festival a quel punto avevo pensato di metterci una croce».

Vivere della propria musica è una fortuna anche senza essere famosi

«Alcune vicissitudini familiari, intorno al 2000, mi hanno consentito di riflettere su quello che facevo, mi hanno fatto capire che non ero uno sfortunato musicista, ma un uomo di successo che da anni viveva grazie a quello che amava fare, trasformando la musica in una fonte di guadagno. In quel periodo ho riallacciato i rapporti con Ramazzotti. Lui mi ha chiesto canzoni, gliele ho date, e da lì è iniziato un contratto editoriale con la Emi publishing, con cui sono rimasto 5 anni. Un mio brano scritto per Ramazzotti, “Il mio amore per te”, è stato un successo. Poi è arrivato “Canto alla vita”, con il cantante americano Josh Groban, una produzione mondiale che ha venduto 6 milioni e mezzo di copie. Un grande successo. Questo mi ha aperto molte porte, consentendomi di dare pezzi ad altri artisti, come Valerio Scanu, i Ragazzi Italiani, Meneguzzi».

Inizia l’avventura con i Tazenda

«Nel 2005-2006 ero in tour con Gianluca Grignani, facevo il corista, il chitarrista elettrico e acustico. Durante il tour mi chiamò Andrea Parodi chiedendomi cosa stessi facendo. Ci incontrammo a Cagliari dove si era trasferito. Parodi mi disse: “Cosa fai con Grignani? Cori e chitarra? Ma lascialo perdere, sei sprecato”. Mi spinse a ponderare l’opportunità di fare il cantante al suo posto, perché era molto malato e non gli rimaneva molto da vivere. I Tazenda sarebbero stati un’ottima opportunità per come ero io. “Chiunque farebbe una boiata infame a sostituirti”, gli risposi. Lui disse “No, ti sbagli, sei diverso da me e potrebbe succedere una “figata” inaspettata».

Finalmente arriva il successo con un brano in vetta alle classifiche

«E così accadde una figata inaspettata, con il brano “Domo mia” scritto da Marielli, due dischi d’oro, un successo nazionale: tre settimane in vetta alla classifica italiana. Quando abbiamo registrato il brano, ho seguito io Ramazzotti mentre cantava in sardo. È stato lui a insistere per fare il duetto con noi. Domo mia è una canzone strepitosa. Uno di quei pezzi che vengono scritti ogni 30 anni. Quell’esperienza mi ha dato l’opportunità di avere successo e diventare famoso. Ho cantato finalmente a Sanremo con i Tazenda, ospiti di Marco Carta nel 2009. La cosa curiosa è che ho cantato all’Ariston quando avevo smesso di pensarci».

Come mai ha lasciato i Tazenda?

«Il periodo con i Tazenda è finito nel 2012, per esaurimento di energie. Avevo finito il carburante e avevo bisogno di rigenerarmi, ho mollato il ruolo di front man per cercare nuove cose e trovare nuove energie. Ho lavorato come turnista in studio, come corista per Ron, Vasco Rossi, Enrico Ruggeri, con la Pfm».

Dopo i Tazenda, tanti concerti e tanti altri dischi

«Un’esperienza che ho fatto con Raoul Moretti, ha fatto sì che coronassi quella che è la mia passione segreta, ossia l’uso dei mantra, la ricerca vocale, le multifonie che fanno parte di una fascia più spirituale alla quale mi sono affezionato, perché mi ha portato tanta energia buona. Con lui abbiamo realizzato tre album, con collaborazioni pazzesche, Tenores di Bitti e Tenores di Orosei, Franco Mussida (Pfm), Paolo Fresu, Cordas et Cannas».

Prossimi progetti?

«Quest’anno ho pubblicato la mia produzione più recente, “Poni a menti a mE”, un lavoro in sassarese turritano che stiamo portando in giro come documento discografico. Dei diciassette brani che compongono l’opera, dieci sono poesie del professor Mario Lucio Marras, che usano anche termini quasi scomparsi, musicate da me. L’obiettivo è di tutelare le lingue minoritarie del nord ovest della Sardegna».

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