La Nuova Sardegna

Cagliari

I consiglieri regionali si riprendono gli stipendi

di Alfredo Franchini
I consiglieri regionali si riprendono gli stipendi

Dopo il blitz notturno in consiglio regionale partono le accuse: «Ignorati referendum e no dei sardi». Lai (Pd): la politica costa ma non sapevo nulla. Pittalis (Pdl): scandalo? No, giusto così

14 giugno 2012
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CAGLIARI. Quello che stupisce spesso della Casta è la fantasia. Martedì notte, il Consiglio regionale per reintrodurre le indennità dei consiglieri regionali, abrogate a colpi di referendum il 6 maggio scorso, ha scelto la strada più paradossale: un emendamento a un provvedimento che riguardava i precari della Regione. Era in discussione il disegno di legge che prevedeva nuove norme “in materia di organizzazione e personale relative ai contratti di collaborazione coordinate e continuative». L’emendamento è arrivato sul tavolo dei Riformatori, che avevano promosso il referendum abrogativo delle indennità oltre a quelli più conosciuti sulle Province, dieci minuti prima del voto. Ed è stato questo che ha portato il gruppo dei Riformatori ad abbandonare l’aula: «Non avevamo alcuna idea di che cosa significasse quell’emendamento», spiega Pier Paolo Vargiu, «e per quello abbiamo inviato una lettera alla segreteria generale del Consiglio. Chiariamo una cosa: le indennità, ovviamente devono essere reintrodotte, lo prevede lo Statuto ma non ne conosciamo la sostanza». Il metodo scelto per ridare stipendi, diaria e indennità di carica è stato criticato da più parti. Ha prevalso la fretta e da qui la fantasia di reintrodurre gli stipendi nelle norme dei precari della Regione.

«E’ stato un blitz a tarda notte», afferma Salvatore Lai, vicesegretario dell’Idv, «in quel modo il Consiglio ha ripristinato le indennità dei consiglieri vanificando l’esito del referendum dello scorso 6 maggio. La leggina approvata alla chetichella riduce minimamente gli stipendi dei consiglieri e i fondi per i gruppi, non rispetta la volontà degli elettori che hanno chiesto un netto taglio ai privilegi e ai costi della politica regionale: è l’ennesima occasione persa». Per Italia del valori sarebbe stata necessaria una decurtazione più radicale. Ma non è tutto. La politica costa molto e troppe persone vivono di politica. Dice Salvatore Lai: «Dovevano essere soppressi i fondi per i gruppi».Questo perché senza una adeguata rendicontazione, quelle risorse non possono essere in alcun modo controllate. «Approvare un emendamento di straforo», conclude Lai, « è molto più semplice che affrontare una riforma seria e radicale come quella contenuta nelle due proposte di legge di iniziativa popolare sottoscritte da 20mila sardi».

Il paradosso è che ancora una volta i politici non abbiano colto il sentimento dei cittadini; da una parte c’è la Sardegna che arranca, dall’altra un esercito che vive di politica. Il segretario del Pd, Silvio Lai, prende le distanze sul metodo seguito: «La politica giustamente dev’essere retribuita perché non dev’essere appannaggio solo dei ricchi. Del voto del Consiglio, però, non ne sapevo nulla, è una scelta che ha fatto l’assemblea regionale».

Approvato l’emendamento è difficile quantificare i tagli per il meccanismo che è stato scelto. I tagli alle varie voci, (indennità di carica, diaria e contributo per i gruppi) sono compresi fra il 20 e il 30%, ma i parametri scelti riguardano indennità e rimborsi spese in vigore al 31 dicembre 2003, immediatamente successivi a un aumento di stipendio dei parlamentari (cui è agganciato quello dei consiglieri regionali), entrato in vigore nell’autunno precedente. L’emendamento assegna ai consiglieri regionali le indennità di base attribuite nel 2003, che era pari a circa 9.263 euro mentre la cifra del 2011 era di 9.023 euro.

I tagli dichiarati, invece, riguardano l’indennità di carica riconosciuta a partire dai vicepresidenti di commissione fino alla presidenza del Consiglio regionale (-30%), la diaria (-20%) e i contributi ai gruppi (-20%). La norma, approvata nella notte all’unanimità, non tocca le spese di segreteria e cancelleria, quelle per i cosiddetti «portaborse», confermate a 3.352 euro. La cifra è rimasta la stessa dal 2003. A conti fatti, i consiglieri non sosterranno particolari «sacrifici», come dimostra il confronto fra gli importi del 2003 e quelli attuali.

Pietro Pittalis, neo capogruppo del Pdl, spiega: «L’indennità è sancita dalla Costituzione perché bisogna garantire le condizioni di accesso alla politica non solo a chi ha grandi disponibilità di risorse. La politica non la devono fare solo i ricchi. In questa circostanza è stato previsto un abbattimento del 30 per cento delle indennità di carica, quindi nessuno scandalo, anzi credo che sia la migliore risposta all’esito del referendum». Per Pittalis, però, il problema non sta nel “quantum” delle indennità: «Un considerevole abbattimento dei costi», spiega potrà venire dalla riduzione del numero dei consiglieri da ottanta a sessanta. Tra i promotori dei dieci referendum c’era Efisio Arbau, leader del movimento La Base: «È la peggiore pagina della storia dell’autonomia», dice, «il Consiglio regionale si piega al conflitto di interessi dei propri componenti. Si riprendono le indennità pesanti nonostante i cittadini avessero detto che i soldi dovevano essere tagliati, non eliminano i consigli di amministrazione degli enti regionali e prorogano le poltrone dei loro amici politici provinciali».

Arbau non lascia spiragli all’ottimismo: «Fanno finta di litigare tutto il giorno per le nomine clientelari e poi votano all’unanimità sui loro soldi. Presto in piazza contro la casta che ha deciso di cancellare il voto dei cittadini».

In Italia, secondo il Censis, un milione e trecentomila persone vivono di politica; un esercito che costa più di 24 miliardi di euro. In Sardegna il Consiglio regionale ha ridotto con la presidente Lombardo i costi che restano alti, poco sotto i cento milioni di euro.

Pier Paolo Vargiu spiega: «Nella poco invidiabile graduatoria delle spese siamo ai primi posti in Italia. Se si riuscisse a scendere nella parte bassa della classifica, sarebbe un risultato importante sotto tutti i punti di vista e anche per rimettere la politica in sintonia con la gente». Ecco perché i Riformatori non hanno partecipato al voto in aula: «La proposta della maggioranza doveva essere messa al centro di un dibattito aperto e trasparente». Non è stato così.

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