La Nuova Sardegna

Un’offerta dal Texas: «La nostra centrale può salvare l’Alcoa»

di Giuseppe Centore
Un’offerta dal Texas: «La nostra centrale può salvare l’Alcoa»

Dagli Usa un progetto industriale e finanziario con l’uso del carbone del Sulcis che però non convince il ministero

11 ottobre 2012
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CAGLIARI. La salvezza, o quantomeno un barlume di speranza, per il polo industriale di Portovesme, potrebbe arrivare ancora una volta dall’America. Ma questa volta non da Pittsburgh, sede di Alcoa, ma da Dallas, centro politico e finanziario del Texas. A farsi promotore di un complesso progetto industriale è la Triencon Service, società con sede principale nel Texas ma con sedi anche in Italia, Lussemburgo e Brasile.

La Tsi da tempo ha presentato un progetto industriale al Ministero dello Sviluppo che prevederebbe quattro punti fermi: la costruzione di una centrale elettrica da 500 megawatt, la vendita della elettricità alle imprese dell’alluminio a un costo uguale a quello indicato dal governo come fattibile per l’acquisto di Alcoa (33 euro a megawatt), l’impegno ad acquistare una tonnellata di carbone estratto dalla miniera di Nuraxi Figus, da associare alle biomasse come materia prima, occupazione prevista tra diretti e indiretti per 600 persone con un picco nel cantiere di costruzione di 2000 persone.

Tutto ciò con un tecnologia che partirebbe da impianti addirittura in funzione al tempo della Germania nazista, implementata con altre tecnologie di nuova generazione «in parte applicate in alcuni stati degli Stati Uniti, come Oregon, Utah, Kentucky e Colorado – ha detto Giovanni D’Urso, portavoce dell’azienda, con un passato nella Legacoop e nel sindacato – dalla nostra società. Il progetto industriale prevede la realizzazione di una serie di prodotti finiti dall’impianto come il diesel sintetico, i gas industriali come azoto e argo, l’anidride carbonica e gli inerti di fine processo. L’intero progetto – conclude D’Urso – sarà finanziato attraverso il project-financing (operazione di finanziamento di lungo termine il cui utile è dato dai flussi di cassa previsti dalla gestione dell’opera, in questo caso dalla vendita di energia, ndr) con banche d’affari statunitensi e investitori specializzati d’Oltreoceano, già presentati e conosciuti dal Ministero per lo Sviluppo». Il progetto così illustrato risulta accattivante, se non altro perchè risolverebbe in un colpo solo l’emergenza costi energetici+uso della miniera di Nuraxi Figus, ma sino a oggi non avrebbe incontrato la benevolenza dei tecnici di via Veneto. Da ambienti vicini al ministero dello Svilupo Economico emergono infatti forti perplessità sia sulla consistenza finanziaria dell’intervento, nell’ordine delle diverse centinaia di milioni di euro, sia nella tecnologia usata, che risulterebbe poco chiara. »Analoga attività è stata avviata negli Stati Uniti pochi anni fa – ribatte indirettamente D’Urso e siamo in grado dopo tre anni dalle autorizzazioni a mettere in marcia l’impianto».

La lista delle società che in qualche modo hanno presentato proposte industrial-finanziarie al ministero retto da Corrado Passera, in relazione alla vicenda Alcoa è molto più lunga di quanto è emerso dalla stampa. Oltre ai piemontesi della Kitegen (con il loro progetto energetico con l’eolico ad alta quota) e ai texani della Triencon ci sarebbero infatti altre società che hanno avanzato progetti con una forte dose di apparente innovazione e qualche incertezza dal punto finanziario. Proprio questi due elementi avrebbero fatto storcere il naso a più di un tecnico ministeriale, alla ricerca di una soluzione tradizionale per un impianto così complesso come quello di Portovesme. E cioè l’acquisizione da parte di un soggetto che abbia riconosciute e verificabili capacità tecniche e finanziarie per rilevare la fabbrica e continuarne le produzioni. «Se non dovessimo trovare questo soggetto – ha detto più volte Passera – dovremmo pensare ad altro. Ma per adesso battiamo con convinzione questa strada».

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