La Nuova Sardegna

Nuoro

orune

L’intreccio tra il vecchio e il nuovo

di Eugenia Tognotti

L’omicidio di Gianluca Monni: i ragazzi hanno affidato messaggi e pensieri per il ragazzo morto – una sorta di moderno attitidu – ai social network

10 maggio 2015
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Nell’agguato mortale che ha spezzato la vita di un ragazzo, piena di promesse e di sogni, alla vigilia di quel rito di passaggio che è l’esame di maturità, s’intrecciano, inestricabilmente, vecchio e nuovo.

C’è il cordone ombelicale che lo collega in qualche moda al passato, ai codici di comportamento, ai modelli culturali di riferimento, alla violenza dell’antico mondo dei “padri” , in uno dei paesi più difficili della Barbagia, Orune, dilaniato da faide decennali e indicato dai giornali – in tempi che sembravano lontani – come il paese simbolo del malessere sociale delle zone interne dell’isola.

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E c’è, indiscutibilmente, il nuovo: l’età della vittima, la sua condizione di studente, la sua estraneità al mondo pastorale, il suo non aver avuto a che fare con la “giustizia”, come si dice. E, ancora, il contesto, l’ora, il luogo stesso - il centro del paese - in cui gli assassini hanno sorpreso la loro giovane vittima, in un mattino qualunque, mentre con altri ragazzi aspettava l’autobus per recarsi a scuola, a Nuoro.

Le stesse immagini, pubblicate dai giornali o viste in TV, rimandano all’oggi: non pascoli, muri di cinta e cancelli di case di campagna, a fare da sfondo al corpo coperto da un lenzuolo, ma uno scorcio urbano e gruppi di studenti – abiti, scarpe, taglio di capelli – simili a quelli dei loro coetanei che aspettano il suono della campanella per entrare a scuola in qualsiasi piccolo e medio paese d’Italia.

Ragazzi che hanno affidato messaggi e pensieri per il ragazzo morto – una sorta di moderno attitidu – ai social network, ai nuovi canali dell'informatica e della comunicazione virtuale .

Si stenta a collocare, in questo contesto e tra queste vite così brevi, un odio antico come una cicatrice che non si rimargina, la messa a punto di una feroce resa dei conti, la meditata preparazione di una vendetta classica, di quelle che chiamano sangue.

Ma se si scartano collegamenti del giovane assassinato con la criminalità comune e con faide che hanno lasciato una scia di sangue ad Orune , si fa davvero fatica ad accettare le possibili motivazioni riferite dalle cronache, che cioè all’origine di un fatto di sangue così spaventoso possa esserci una discussione con un gruppo di bulli-balentes che avevano preso di mira la sua ragazza.

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Occorrerà aspettare il lavoro degli inquirenti, cominciando però ad interrogarsi, in generale, su tematiche come l’emergenza di nuovi comportamenti legati a fenomeni di dipendenza, di dispersione scolastica, di devianza minorile, di bullismo. C’è da augurarsi che chi ha visto parli, che crolli quello che per tanto tempo è stato quasi un mito nella Sardegna profonda: il silenzio davanti alla giustizia.

Sarebbe importante che un importante segnale arrivasse dai giovani. Perché è a loro che è affidato il compito di scrivere il futuro, di trasformare la realtà locale e di far entrare paesi ‘difficili’ in una nuova traiettoria storica. Quest’ultimo episodio di violenza non è “una maledizione divina”, come ha dichiarato il sindaco di Orune, comprensibilmente scosso da quel delitto che ha sconvolto la comunità paesana

Quell’espressione, usata nel Medioevo per darsi ragione di qualcosa di inspiegabile e di straordinario - la peste, un’inondazione, la siccità, un’epidemia, un terremoto, un’invasione di cavallette - non appartiene al nostro presente, in cui sono, devono essere, le persone di buona volontà, attingendo ad una riserva di energie nuove, nelle istituzioni e fuori, a cambiare le cose, investendo sulle politiche e le buone prassi per costruire gli “anticorpi’ e una nuova cultura, capace di contrastare la violenza in tutte le sue forme.

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