La Nuova Sardegna

Nuoro

Fidanzati assassinati a Irgoli, la richiesta del pg: ergastolo a Dessena

di Kety Sanna
Sara Cherchi
Sara Cherchi

Anche la parte civile sollecita la condanna. Il difensore: «Senza certezze, Andrea dev’essere assolto»

05 marzo 2016
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CAGLIARI. «Chiedo che venga confermata la sentenza di primo grado». Il sostituto procuratore generale della Corte d’assise d’appello di Cagliari, Gian Carlo Moi, alla fine della sua requisitoria ha sollecitato la conferma dell’ergastolo per Andrea Dessena, il giovane di Orosei accusato del duplice omicidio dei fidanzati di Irgoli, Mario Mulas e Sara Cherchi, avvenuto il 3 settembre del 2008.

L’imputato, condannato in primo e secondo grado al carcere a vita, si era visto annullare la sentenza con rinvio dalla Cassazione. Ieri si è conclusa la discussione.

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L’accusa. Alle 9 in punto il procuratore generale ha preso la parola davanti alla corte presieduta dal giudice Maria Grazia Corradini e, ripercorrendo gli atti del processo si è soffermato sugli aspetti cardine su cui si è basato l’intero impianto accusatoria di questa vicenda giudiziaria, ritenendo alla fine provata la responsabilità penale dell'imputato. Ha parlato dei due fidanzati, in particolare di Sara: «Figura femminile puramente accessoria in questa tragedia che non viene risparmiata dai killer che attendono vicino a casa. Al contrario un mese esatto dopo, il 3 ottobre del 2008, la fidanzata di Pierpaolo Serra, viene invece volutamente lasciata in vita. Eppure – ha aggiunto Moi cercando le analogie tra i due delitti – Sara Cherchi non aveva commesso reati, era una ragazza che lavorava e viveva la sua vita». E sul fatto che il responsabile del duplice delitto sia Andrea Dessena per Giancarlo Moi non ci sono dubbi. Ogni singolo indizio conduce univocamente a lui e non ad altri; e così è stato sin dall'inizio delle indagini, come ha riferito Emilio Cherchi (padre di Sara), al quale il nome di Dessena fu fatto il giorno dopo il duplice omicidio. «La causale, i messaggi, le conversazioni intercettate, le testimonianze, pur provenendo dalle fonti più disparate e lontane, compongono un quadro logico ed omogeneo nel quale Andrea Dessena compare come il principale responsabile del duplice omicidio di Irgoli».

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Ma chi è Andrea Dessena: il pg ne traccia la personalità descrivendolo come un giovane che vuole dare di sé l'idea del balente, dell'autoritario che vuole impressionare gli altri. Un leader, un protettore che spesso viene temuto dagli stessi amici.

Il movente. Quindi il movente, legato al furto della Opel Corsa verde di Denis Derosas all'interno della quale c'era anche una sella di Dessena. L'auto venne poi utilizzata per una rapina a un furgone con tabacchi. Per quel furto Dessena accusava Mario Mulas, visto che l'auto prima della cessione era ricoverata nella sua carrozzeria. Ma Dessena accusava Mulas anche del furto della sua Golf rubata a Irgoli nel luglio 2008 (questa sarebbe la causa scatenante). In realtà Mulas per lui era il mandate mentre gli autori del furto erano il fratello di Sara, Renzo Cherchi e un altro giovane del paese. Anche di quel fatto Dessena chiese conto ad Antioca Chessa (zia di Mulas e madre della sua ex fidanzata), ritenendo che si trattasse di un gesto ritorsivo nei suoi confronti dopo l’incendio dell’auto subito dalla donna. A lei annunciò gravi conseguenze.

Parte civile. Anche l'avvocato di parte civile, Gianluigi Mastio ha chiesto la conferma dell’ergastolo per l'imputato: «Dessena si è lasciato andare a una confessione stragiudiziale quando all'indomani dell'omicidio Serra, dopo essere stato sottoposto allo stub, chiama Manuel Casula e gli chiede conto di quanto durasse l'effetto delle particelle di polvere da sparo sulla pelle. “Sicuro che sia per questo omicidio?” gli aveva chiesto Casula... “È certo – aveva risposto lui – per quello di Marieddu...”, facendo intendere di esserla scampata. Fondamentali – ha aggiunto Mastio – sono state le rivelazioni che Salvatore Piredda e Casula, in momenti diversi, fanno a Emilio Cherchi, padre della ragazza uccisa. Il primo, all’indomani dell'agguato, quando ancora Sara non era morta, aveva bussato a casa del brigadiere in congedo e gli aveva raccontato di aver saputo proprio da Mario Mulas di una violenta lite scoppiata due giorni prima in un bar a Orosei, tra Dessena, lui e Sara. Racconto non confermato poi in aula dal testimone indicato dal padre della vittima. Quindi Casula che aveva riferito a Cherchi di aver accompagnato Dessena a Onifai il giorno del delitto. In quell’occasione – ha aggiunto la parte civile – l'imputato aveva raccontato all'amico di voler dare una lezione a Mulas. Tant'è che il giorno dopo l'omicidio Casula incontra Dessena e questi gli chiede: “Non devi dirmi nulla?”. E soltanto quando Casula fa cenno all’omicidio della ragazza l’imputato gli risponde di non volerne parlare. “Mi aveva fatto capire di essere stato lui” aveva detto Casula a Cherchi. Manuel Casula – ha sottolineato la parte civile – non ha mai detto di aver ricevuto dall'amico dichiarazioni esplicite ma di aver capito dal suo atteggiamento il coinvolgimento nella vicenda».

La difesa. L’ultima parola è spettata alla difesa. L’avvocato Antonino Rossi ha fatto partire l’arringa da alcune sentenze definitive a favore di Dessena che lo vedono estraneo dall’incendio dell'auto di Antioca Chessa; dal tentato omicidio di Fabio Useli, di Dorgali e dall'attentato al geometra di Dorgali Fabio Cucca. Sentenze che farebbero vacillare l’impianto accusatorio di questo processo e il movente su cui si regge. «Per condannare occorre avere delle certezze – ha detto l'avvocato Rossi – e in questo processo ce ne sono molto poche. Oltre all’arma del delitto che non è mai stata trovata – ha ancora detto il legale – la pubblica accusa, già in primo grado non ha mai individuato i complici di Dessena. Inoltre – ha aggiunto – sappiamo che Denis Derosas, confidente del maresciallo Zarra si è avvalso della facoltà di non rispondere. Eppure sentirlo, sarebbe stato utile per capire se questo duplice delitto sia legato a quello di Pierpaolo Serra, avvenuto a un mese dopo, e con le stesse modalità. Anche se gli investigatori non sono mai andati oltre». Quindi l’alibi dell’imputato e le celle telefoniche agganciate dal suo telefonino il giorno del duplice delitto. «L’accusa – ha aggiunto Rossi – arriva a sostenere, senza provarlo, che altri abbiano usato il telefono di Dessena per creargli un alibi. E se lui non rispose al messaggio delle 21,48 è perchè quell'sms era di risposta a un suo precedente». Poi ha concluso: «Per applicare anche un solo giorno di carcere ad una persona occorre usare i criteri della certezza e non della probabilità. E per questo vi chiedo: solo se siete certi della colpevolezza di Dessena, condannatelo, altrimenti assolvetelo». La parola ora passa ai giudici. Sentenza il 22 marzo.

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