La Nuova Sardegna

Nuoro

«No all’odio, coltivate il perdono»

di Simonetta Selloni
«No all’odio, coltivate il perdono»

L’appello del parroco al funerale di Mauro Antonio Carai, l’allevatore ucciso venerdì notte a Sant’Efisio

01 settembre 2021
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INVIATA A ORUNE. Margaredda, Margherita Contena, la moglie di Mauro Antonio Maurantoni Carai, ha lasciato che fossero i figli e i congiunti stretti a sostenere il dolore pubblico per la morte dell’allevatore ucciso venerdì notte a Sant’Efisio. Troppo forte la pena, calata su una donna con qualche problema di salute e ora schiantata dalla perdita del marito. E, come prevedibile, è rimasta a casa l’anziana madre di Mauro Antonio Carai, Sebastiana Chessa, ormai quasi centenaria.

Così, ieri mattina alle 11 in punto, il lunghissimo corteo di auto proveniente dal San Francesco di Nuoro è arrivato in paese, dopo essersi inerpicato lungo la strada che dalla Statale 131 porta a Orune. Ad accogliere il feretro, davanti alla chiesa parrocchiale di Santa Maria Maggiore con le presenze contingentate per via del Covid, nelle strade attorno lungo il Corso Repubblica, centinaia di persone per dare l’ultimo saluto ad un uomo riconosciuto come mite, operoso; impegnato nella conduzione della sua azienda e nella cura della sua famiglia, la riservatezza elevata a sistema di vita.

«Mauro Antonio era un figlio della luce. Era un uomo casa e lavoro, lavoro e casa – ha detto il parroco, don Michele Muledda –. Quando sono andato a visitare la moglie, mi ha detto che era premuroso, affettuoso, attento alla sua salute. L’accompagnava a fare le visite mediche». Immagini di una quotidianità fatta di gesti semplici, affettuosi. La vita come dovrebbe essere, a una certa età soprattutto. Fino a quando non accade l’irreparabile.

«E poi è arrivato venerdì sera – ha proseguito il parroco ricordando le modalità dell’omicidio –. È sceso dalla macchina, voleva forse chiarire, discutere, magari per trovare un accordo, come si fa. I figli della luce fanno così, non hanno paura di nessuno. Poi è successo il peggio, si è messo mano al coltello». Le parole del parroco diffuse dall’altoparlante piazzato sul bel campanile in granito della chiesa, perché tutti potessero partecipare a un lutto collettivo e sentito.

L’allevatore era un uomo che rifiutava la violenza. «Mauro Antonio aveva imparato, nella sua esperienza di vita, che le cose si devono risolvere con le parole. Chi ricorre alle pistole o al coltello non è figlio della luce, ha paura del confronto». Quindi, ha ripetuto l’appello già formulato domenica, durante la festa della Beata Vergine del Carmelo: «Un familiare di Mauro Antonio ha detto: chi è stato, lo dica. Ammetta lo sbaglio. Fa la figura più bella, dimostra di essere un uomo coraggioso, ridà pace e serenità alla nostra famiglia e al paese».

Il sacerdote, che a settembre lascerà la parrocchia di Orune (andrà a Loculi e Onifai), ha aggiunto: «Avrei voluto lasciare una comunità serena. Provengo da un paese tormentato, Oniferi, da chi voleva farsi giustizia da sé. Vi dico che l’odio porta odio, la violenza porta violenza. Da parroco-padre vi dico: fondate la convivenza sulla pace, andate oltre la violenza e la vendetta. Bisogna essere coraggiosi anche a mostrare sentimenti di perdono».

Quindi la funzione si è conclusa con il corteo funebre che ha attraversato il paese verso il cimitero. Orune ha partecipato coralmente a un lutto inaspettato; la morte dell’allevatore ha avuto un’eco vastissima, come testimoniato dalle decine e decine di necrologi affidati al giornale.

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