Le ferite ancora aperte, parlano le vittime
La bomba d’acqua, il buio, l’attesa degli aiuti. Due disabili di Torpè non possono rientrare a casa
OLBIA. Una sequenza di testimonianze fa rivivere il dolore. «Apro la porta, l’acqua era già lì. Indosso gli stivali. Mi metto all’incrocio, devio il traffico e indirizzo le auto verso la via Veneto. È buio pesto. Vedo solo i fari. Anche la Protezione civile segue le mie indicazioni. Poi arriva l’onda. I 43 anni della mia vita sono nelle scatole che ho dato in custodia a una signora». Maria Dettalo di Olbia, racconta così il dramma che l’ha travolta. Severina Cinus è di Uras: «La ripresa agricola è la priorità per il territorio. Ma siamo stati ignorati», denuncia tremante. Aggiunge: «Siamo umiliati da coloro che non hanno messo mani e piedi nel fango». Terribile la testimonianza di Francesca Chessa di Torpè: «La mia famiglia è stata 6 ore sul tetto, in attesa di soccorso. Abbiamo salvato due persone disabili, che ancora sono ospitati altrove, perché non ci sarebbero le condizioni per poter tornare a casa, come noi vogliamo». Delusione, amarezza ma non rassegnazione: «Che hanno fatto per noi», domanda Antonella Sanna di Olbia e senza riuscire a trattenere le lacrime l’artigiano Giovanni Bonanini segnala: «Dalla Curia ho ricevuto soltanto un Gesù Bambino con il lumicino. Ho potuto ricomprare attrezzature per la mia bottega solo con l’aiuto della solidarietà popolare». C’è qualcosa di più su cui aprire gli occhi, dice Pina Gallittu di Olbia: «Non solo la pioggia. Bisognerà vedere quali sono le cause che hanno determinato tutto ciò. E le associazioni che hanno raccolto fondi finalmente li distribuiscano, con progetto mirato». Un riferimento, come tanti altri, al Croce rossa e a Caritas, sulle cui raccolte è calato il silenzio. (gpm)