La Nuova Sardegna

Olbia

Bambino segregato la difesa: pena equa per i genitori pentiti

di Tiziana Simula
Bambino segregato la difesa: pena equa per i genitori pentiti

Gli imputati hanno già confessato: punizioni per educarlo Il pubblico ministero ha chiesto la condanna a dieci anni

16 giugno 2020
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ARZACHENA. È stato il giorno dedicato alla difesa. Nelle loro arringhe, i difensori dei genitori del bambino maltrattato e tenuto segregato per punizione nella sua cameretta, nella casa degli orrori di Arzachena, hanno chiesto al gip Marco Contu, davanti a cui si sta celebrando il processo con rito abbreviato «una pena equa, che tenga conto di tutte le circostanze». Gli avvocati Alberto Sechi, per il padre, e Marzio Altana, per la madre, hanno chiesto che il reato di sequestro di persona venga assorbito da quello per maltrattamenti, in quanto la privazione della libertà veniva inflitta al bambino come punizione. I genitori dell’11enne e sua zia, quest’ultima ritenuta la regista e l’istigatrice delle violenze fisiche e psicologiche a cui veniva continuamente sottoposto il piccolo – tutti e tre agli arresti domiciliari e, ieri, presenti in aula – sono accusati di maltrattamenti e sequestro di persona. Al termine della requisitoria, nell’udienza precedente, il pubblico ministero Luciano Tarditi aveva chiesto per tutti una condanna a 15 anni, ridotta a 10 per la scelta del rito abbreviato. Senza nessuna attenuante generica, nonostante siano incensurati. Pena che, se venisse accolta, porterebbe in carcere i tre imputati.

Tutti avevano ammesso le proprie responsabilità, dicendo di averlo fatto nella convinzione che quelle punizioni fossero necessarie all’educazione del bambino. Ma fin dall’inizio era emersa una posizione marginale del padre che, seppur consapevole delle punizioni che venivano inflitte al figlio come “metodo correttivo”, non interveniva sull’educazione del minore, su cui decidevano la moglie e la cognata. Lo stesso bambino nei diari choc sequestrati dagli inquirenti, dove raccontava dei maltrattamenti subiti, riconosceva che il padre non gli faceva del male. Un ruolo marginale che il suo difensore ha evidenziato davanti al gip. Così come il difensore della madre, ribattendo alla requisitoria del pubblico ministero, ha sollecitato il gip a tenere conto della confessione della donna. Della presa di coscienza di ciò che aveva fatto a suo figlio, accompagnata dalla consapevolezza di averlo perso.

La “casa degli orrori” era stata scoperta dai carabinieri di Olbia, il 29 giugno di un anno fa. Era stato lo stesso bambino a chiamare il 112 con un cellulare senza sim. I militari lo aveva trovato chiuso nella sua stanza, al buio, senza letto, con due panini raffermi per cena e con un bidone dove fare i bisogni. Aveva raccontato che i suoi genitori lo chiudevano nella sua stanza per punizione. E sempre per punizione, lo picchiavano con un tubo di gomma dietro le ginocchia, gli davano poco da mangiare, gli facevano fare docce fredde anche d’inverno. E gli facevano ascoltare registrazioni con voci demoniache che lo minacciavano di portarlo all’inferno.

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