Olbia Si presenta come un pezzo di muro piuttosto malandato, ma in realtà è l’ultima traccia di un passato morto e sepolto. È quel che resta de Su pònte mannu. E cioè il ponte, appunto, che fino ai primi anni del Novecento collegava la zona del monumento ai caduti con l’attuale quartiere della Sacra Famiglia. Una lunga passerella di legno e di pietra che attraversava insomma la darsena di via Redipuglia, che, prima dei dragaggi, appariva come una grande area paludosa. Per decenni il pezzo di ponte è stato inglobato dallo storico cantiere navale della famiglia Moro. Con l’avvio del Progetto Iti, però, i Moro hanno dovuto dire addio ai loro pontili e liberare dunque l’area sul mare, per lasciare spazio al passaggio della pista ciclabile. Ora il pezzo di ponte è nuovamente visibile da tutti e c’è anche chi chiede una sua salvaguardia e una sua valorizzazione. Come Flavio Fara, tra le altre cose autore di una interessante guida dedicata alla storia, ai luoghi e ai personaggi di Olbia.
«Il ponte era la prosecuzione dell’attuale via Regina Elena, e consentiva, prima della successiva realizzazione de Su pònte de su ferru e di via Roma, di accedere ai terreni, alle paludi e al cimitero a sud di Olbia – spiega Flavio Fara, per poi lanciare la sua proposta –. Pur non avendo probabilmente grande valore architettonico, costituisce un’ importante memoria storica della città, e sarebbe auspicabile, in futuro, preservarlo e valorizzarlo con pannelli informativi che ne raccontino la storia e la funzione». A parlare del vecchio ponte olbiese, nel suo libro dedicato ai toponimi costieri Olòdromu, è stato anche l’esperto di storia locale Simplicio Usai. Un ponte, quello che si trova nell’ex cantiere Moro, che sorge in una zona che i vecchi terranovesi chiamavano Su Tappaiu. Toponimo che, spiega lo stesso Simplicio Usai, potrebbe derivare dalla presenza, da queste parti, di un fabbricante di tappi di sughero. (d.b.)