La Nuova Sardegna

Gigi Riva e la Sardegna, una grande storia d'amore

Vanessa Roggeri
Gigi Riva e la Sardegna, una grande storia d'amore

08 novembre 2019
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Di sicuro non è stato amore a prima vista. Poco male perché a noi sardi non piacciono le cose scontate e lineari; preferiamo la conquista sudata. Preferiamo la tempesta domata in rombi di tuono che diventano leggenda. Siamo diffidenti, badiamo al sodo, ma quando diamo il cuore è per sempre. Tutte le più grandi storie d’amore, reali e letterarie, hanno un inizio travagliato, e quella tra i sardi e Gigi Riva non fa eccezione. Nel 1963 i sogni di gloria di un calciatore esordiente non ancora ventenne, si sono infranti contro un muro di pregiudizi che vedeva nella Sardegna più un povero avamposto d’Africa che una fiera regione dell’Italia.

Diciamolo: Gigi in Sardegna non ci voleva venire, eppure, strada facendo, si è reso conto che non l’avrebbe più lasciata. Non poteva. Qualcosa era scattato, un innamoramento reciproco, un desiderio di affrancamento dal proprio passato che rivelava un’imponderabile affinità elettiva tra una terra bistrattata e il suo idolo più acclamato. Tra il lombardo dalle umili origini e l’isola c’era molto in comune, più di quanto potesse immaginare. Gigi dei record, Gigi che un gol dopo l’altro regala al Cagliari uno scudetto, lo esalta, lo ammanta di invincibilità, cresce con la squadra e sfonda in Nazionale. «Quell’anno non ci ha fermato nessuno perché non avevamo paura di nessuno, ci sentivamo invincibili».

È stato un leader, uno dei più grandi attaccanti di tutti i tempi ha riscritto la storia del calcio dando vita alla leggenda di se stesso. Talmente inarrestabile che per fermarlo sul campo hanno tentato più volte di spezzargli le gambe. Un uomo e un giocatore, le due parti sono inscindibili: per diventare così grandi, alle doti calcistiche devono per forza accompagnarsi valori e principi riconosciuti. Se dopo 43 anni dal suo ritiro dai campi di gioco i sardi ancora lo ricordano con affetto, gratitudine e orgoglio una ragione ci sarà e questa va al di là delle vittorie, pure importanti, ma non quanto la fedeltà che Gigi ha dimostrato al suo Cagliari e alla Sardegna tutta: la Juve offrì più di un miliardo ai suoi piedi, ma lui non ne volle sapere di lasciare l’isola. Ha dedicato la sua carriera alla squadra, 13 anni di record ed emozioni irripetibili, tanta dedizione sincera gli viene tutt’ora restituita con gli interessi. Perché i sardi non dimenticano.

«Non ci eravamo accorti, io l’ho capito col tempo, che quello scudetto è stata la prima rivincita sociale per tutti i sardi». Non si trattava solo di sport: in gioco, a quell’epoca, c’era un passaggio delicato che avrebbe decretato la nostra credibilità come popolo: da reietti d’Italia, a campioni d’Italia. Mio padre mi racconta: «Quando c’era Riva c’era la Sardegna, anzi, lui era la Sardegna. Tutti gli andavano dietro. Era più di un mito: era un supereroe. Quando tirava nessuno poteva fermarlo: era gol». La sardità è un sentire imponderabile, non appartiene solo a chi in Sardegna ci è nato ma anche a chi sceglie l’isola come “patria”. Non si descrive a parole, non attiene a ragioni logiche: è solo questione di sintonie.

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