IL COMMENTO - Il silenzio delle città senza bambini
L'assenza dei piccoli: strade vuote e ancora più tristi
Il mio portone di casa è adiacente al cancello di una scuola elementare e devo ammettere che non sentire per tante settimane i canti, le sgridate delle maestre, gli strilli infantili o il vociare eccitato dei piccoli alunni al suono della campanella, mi restituisce tutto il senso di alienazione che la pandemia ha portato nelle nostre vite. Se non fosse per lo stormire dei pini che ombreggiano il cortile, il silenzio sarebbe assordante. Rintanati nelle case, abitiamo quartieri addormentati in attesa di riavere la nostra libertà; le strade vuote e i negozi chiusi sono desolanti, ma le città senza bambini sembrano ancora più tristi, spente, prive della loro scintilla vitale.
Gli adulti sono stati catapultati in un incubo di cui hanno piena coscienza, oppressi da mille timori e preoccupazioni, stravolti nella routine quotidiana spesso faticano a gestire il cambiamento, mentre i figli assorbono e rielaborano loro malgrado gli umori della famiglia. I bambini riflettono le ansie dei genitori, rispondono allo stress a modo loro, secondo un proprio linguaggio comportamentale; i confini del loro mondo fisico e ideale sono strati ridisegnati e costretti alle mura domestiche, al pari del mondo della socialità, dei doveri e degli affetti: non possono più andare a scuola, né abbracciare i nonni o giocare con amici e compagni. La casa è diventata l’unico spazio concesso, nido sicuro e allo stesso tempo barriera che protegge contro il pericolo che aleggia all’esterno.
I bambini moderni subiscono un costante bombardamento di stimoli che porta a un’iperattività del corpo e della mente: tra corsi di recitazione, calcetto, danza, pianoforte, cinema, pizzeria e festicciole varie, cambiare marcia all’improvviso, subire un ritmo giornaliero più lento e monotono, mette alla prova il loro desiderio di svago e bisogno di sfogo delle energie. Ciononostante, una ricerca ha evidenziato che in generale i bambini sembrano in grado di adattarsi abbastanza bene alle restrizioni imposte dalla quarantena.
Col passare delle settimane possono manifestare un po’ di svogliatezza nel gioco e nello studio, ma credo sia del tutto fisiologico. Perdere la normalità delle nostre abitudini destabilizza, eppure gli psicologi ci dicono che i bambini hanno un grado di reazione positiva al cambiamento superiore agli adulti. Di sicuro hanno intuito fin da subito che la quarantena non è una vacanza fuori tempo: lo ha capito anche la figlia treenne di mia cugina che al telefono sciorina tutto d’un fiato le precauzioni da prendere contro il virus.
Fare lezione a casa, non andare al parco o in bici, non è per nulla piacevole; anche stordirsi di TV e videogiochi non è più un passatempo divertente. Una buona parte di genitori italiani, supportati da esperti dell’infanzia, avrebbero voluto che il Governo tenesse conto dei bisogni dei più piccoli, introducendo nella gestione dell’emergenza misure a tutela del loro benessere e a sostegno delle famiglie. Hanno lamentato, per esempio, che le strade vedessero a spasso schiere di padroni con i loro cani, e per contro nessun padre o madre che potesse accompagnare i propri figli a prendere un po’ d’aria, ora che quell’aria si è resa più respirabile.
Un bollettino che nel momento peggiore ha sfiorato i mille morti, penso avrebbe spaventato qualsiasi governo di buonsenso.
Per quanto mi riguarda sono convinta che i bambini, seppure ammantati di tanta schiettezza e vulnerabilità, siano molto più forti di quanto riteniamo, e forse non è affatto un caso che il coronavirus tenda ad essere sconfitto più facilmente dal loro organismo. Parrebbe quasi una dimostrazione scientifica della loro sublime superiorità rispetto alle angosce del mondo, straordinaria metafora della resistenza umana. Le città torneranno a fiorire quando i bambini torneranno ad abitarle in totale libertà.