La Nuova Sardegna

Europa unita solo economicamente

Marcello Fois
Europa unita solo economicamente

Al momento è solo una famiglia da cui si può decidere di andarsene per conto proprio

30 aprile 2022
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Ma a quale Europa ci riferiamo esattamente tutte le volte che proclamiamo la necessità di un’unità di intenti di fronte a fatti e avvenimenti catastrofici come la pandemia colossale che stiamo attraversando?

O come la guerra terrificante in corso che la Russia di Putin ha mosso contro l’Ucraina? In altre parole, che famiglia è quella europea? O meglio: chi ha elaborato gli incastri assai complessi attraverso i quali questo puzzle di istanze, furbizie, punti di vista, interessi economici, governi locali, dovrebbe comporsi? Domande tutt’altro che semplici a cui dobbiamo decisamente dare una risposta. Conosciamo, per esempio, la complessità attraverso cui si può essere accolti nella Comunità Europea, ma non sappiamo quasi nulla dei sistemi di espulsione dalla medesima. L’Europa pare essere, al momento, una famiglia da cui si può decidere di andarsene solo per conto proprio. Non pare avere sistemi che regolino la decisione di restituire lo status di extracomunitario a un Paese che dimostri palesemente di non attenersi agli interessi comuni se non esclusivamente quando questi coincidono con i propri. Non è mai chiara la piattaforma su cui si debbano saldare i punti di non ritorno, le parole chiave imprescindibili, i pilastri del nostro essere europei oltre che italiani, francesi, tedeschi e così via. È chiara ed evidente la sensazione che pur di “stare insieme”, in molti casi, si chiuda un occhio su contravvenzioni palesi dei diritti civili o degli accordi comunitari. Ma si ha un’impressione storica che si va via via sostanziando e cioè che, come accade in tutte le famiglie numerose, vi sia, in questa compagine, chi fa sacrifici e chi no. Succede che si aderisca a un patto col secondo fine di sfruttarne esclusivamente i vantaggi e che si diventi assai più pignoli nei confronti di quelli che sarebbero i propri svantaggi. Il caso ungherese è assolutamente paradigmatico di questo atteggiamento. Un bengodi dove si possono pretendere aiuti, sconti, peso politico, concedendo in cambio il minimo indispensabile e, soprattutto, pretendendo che non si commenti nemmeno il paradosso di un antieuropeista conclamato che governa un Paese che, a suo tempo, ha invocato, col cappello in mano, l’accoglimento nella grande famiglia dell’Europa. E il paradosso che quell’accoglimento ha significato un rapporto in cui con tutta evidenza sono chiarissimi i diritti e assolutamente nebulosi i doveri. Tutto si può dire dei Paesi fondatori dell’Unità europea fuorché che non abbiano dovuto affrontare sacrifici economici a favore del progetto cooperativo che avevano in mente. La Comunità europea è un luogo dove si può persino essere antieuropeisti e questo principio vale almeno quanto la considerazione che la sovranità dei singoli Paesi membri non sempre venga prima di ogni accordo. La Comunità Europea dovrebbe dunque essere un UrPaese sovrastante i singoli membri fuso da principi imprescindibili quali l’antifascismo, la parità di genere, la libertà di culto, il diritto all’istruzione, alla sanità, al cibo, la libertà di stampa. All’errore di essersi concentrati su un’unione sostanzialmente economica ha fatto pensare che la partita dei diritti fosse accantonata. La pace mantenuta a furia di tolleranze incrociate e non sempre equilibrate, ha fatto pensare c he non fosse urgente munirsi di una diplomazia comune, o di un esercito comune, o dell’obbligo di attenersi ai principi base dei diritti civili. Ma pandemia e guerra ci hanno costretto a toccare con mano quanto l’unità possa fare la forza e quanto la disunità su tutti i fronti di questa compagine favorisca i furbetti e i guerrafondai.

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