La Nuova Sardegna

Caro carburanti

Le accise, le tasse più ingiuste

di Luca Deidda
Le accise, le tasse più ingiuste

Serve una politica green inclusiva che consenta anche ai sardi di fare a meno della benzina

30 giugno 2022
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Le accise sul carburante. Un tema caldo, con la guerra che soffia sul prezzo degli idrocarburi. In realtà, per i diversamente giovani come il sottoscritto, un tormentone che periodicamente si ripropone. Un tema irrisolto che ritorna. Un tema complesso, perché associato alla dinamica inflazionistica in atto. Ma anche alla strategia di transizione alle energie rinnovabili. Ma cosa sono le accise e quanto pesano?

Un servizio del TG inizierebbe ricordandoci che dagli anni ’30 lo Stato italiano ha inaugurato la pratica di tassare la produzione di carburante per finanziare specifiche spese pubbliche. Si inizia con la tassa per finanziare le spese della guerra di Etiopia, 1935-36, e si finisce con l’incremento dell’accisa per finanziare spese del decreto del fare del 2014. Così nel tempo siamo arrivati, a marzo 2022, a 0,7284 euro per litro di benzina e 0,6174 euro per il gasolio.

Nel frattempo, già dal 1995 lo Stato ha unificato le varie accise. Quindi siamo di fronte a una tassa sulla produzione che di fatto contribuisce al bilancio dello Stato nel suo complesso. Le accise vanno a sommarsi al prezzo della benzina inclusivo del margine di chi la vende al dettaglio, e sul totale si calcola l’Iva per arrivare al prezzo alla pompa. Anche con un prezzo di oltre 2 euro per litro di benzina, il peso delle accise resta considerevole, è intorno al 35%. Chiaro quindi che una modifica delle accise può incidere in maniera significativa sulla spesa degli italiani. Perciò si giustifica il provvedimento di riduzione delle accise, prorogato fino al 2 agosto, oggi pari a 0,4784 euro per litro di benzina e 0,3674 euro per litro di diesel.

Una manovra condivisibile, sperando sia efficace, perché l’aumento dei prezzi dei carburanti ha effetti più sui ceti medio bassi che su quelli alti, considerato che l’incidenza della spesa in idrocarburi per mobilità è maggiore per i primi che per i secondi. Ma se la spesa in carburanti in una economia sviluppata incide più sul bilancio dei ceti medio-bassi che di quelli alti, allora le accise sui carburanti sono regressive. E un paese che ha la progressività dell’imposta come principio generale, con questa faccenda dovrebbe fare i conti. Tanto più che parliamo di una tassa che è anche uno strumento di politica economica nell’ambito della strategia di transizione alle rinnovabili.

Ci sono altre due dimensioni da considerare. Primo, il povero in genere può permettersi auto a benzina più vecchie e meno efficienti, e non auto ibride né tanto meno elettriche. Secondo, le regioni con redditi più bassi sono spesso anche le regioni dove la macchina è l’unico modo per spostarsi perché le reti ferroviarie sono carenti. Noi in Sardegna ne sappiamo qualcosa. Senza contare che per arrivare in continente l’unico modo è usare il gasolio. Più in generale, le misure fiscali a supporto della transizione ecologica rischiano di avvantaggiare i ricchi, e di creare un mondo in cui, ancora una volta, i ricchi sono puliti e i poveri sono sporchi, e per di più mazziati dagli alti prezzi della benzina. Da un lato l’accisa penalizza più noi sardi. Dall’altro non vorremmo neanche essere sussidiati, con la mera riduzione dell’accisa, e confinati in una riserva a idrocarburi mentre gli altri diventano green. La vera istanza non è semplicemente l’eliminazione delle accise, ma una politica green inclusiva che consenta anche ai sardi di fare a meno della benzina. Infine, questo tipo di politiche vanno associate a politiche strutturali che ci rendano più competitivi ed efficienti e promuovano dunque la crescita del Pil reale che è l’antidoto migliore contro l’inflazione e contro l’indebitamento necessario per tutelare i ceti più deboli dagli shock inflazionistici.

Da questo punto di vista, bene la politica di riduzione del cuneo fiscale. Sarebbe importante lavorare anche su politiche serie per l’immigrazione e per l’istruzione; perché l’inflazione dei prossimi anni, nell’Europa che invecchia, sarà anche inflazione da scarsità di forza lavoro.
 

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