La Nuova Sardegna

Potere e questioni di genere

Il femminismo di Giorgia Meloni e di Elly Schlein

di Vanessa Roggeri
Il femminismo di Giorgia Meloni e di Elly Schlein

Per un Paese come il nostro così conservatore, troppo spesso misogino e bigotto, questo benefico passo avanti nella modernità ha valore a dir poco epocale, un cambiamento di rotta storico che parte dall’alto, dai massimi vertici di potere

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La vera novità che da mesi sta investendo l’Italia, e che è destinata a cambiare forma e sostanza della società, è contenuta tutta nella consapevolezza improvvisa e urgente che le donne possano essere il reale motore del rinnovamento politico e istituzionale. Per un Paese come il nostro così conservatore, troppo spesso misogino e bigotto, questo benefico passo avanti nella modernità ha valore a dir poco epocale, un cambiamento di rotta storico che parte dall’alto, dai massimi vertici di potere. Potere politico che si polarizza su due estremi totalmente opposti – la destra rappresentata dalla Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, e la sinistra dalla neosegretaria di partito Elly Schlein – declinati al femminile, ma che solo per certi tratti discontinui parlano un linguaggio ascrivibile alle lotte femministe. In una recente intervista, Giorgia Meloni ha reso ancora più chiare le sue posizioni riguardo a questioni di genere e famiglia, ponendosi, a suo dire, nel medesimo solco concettuale di molte femministe: per essere donne non basta proclamarsi tali, l’appartenenza di genere è intrinseca nel corpo, è un fattore biologico incontrovertibile e immutabile; l’ideologia gender cancellerebbe le differenze naturali tra maschile e femminile e le prime vittime di questo annullamento sarebbero proprio le donne. La leader superconservatrice ne è talmente convinta che poi, con mossa antifemminista e in barba alla grammatica, lungi dal dimostrare la propria libertà di autodeterminarsi, declina la sua carica istituzionale al maschile, perché forse in fondo crede che basti l’articolo “il” per vestirsi di maggiore autorevolezza agli occhi degli italiani. Giorgia Meloni non si è mai sentita vittima discriminata in quanto donna, per lei giustamente uomini e donne sono uguali, contano gli individui e la forza di volontà: se vuoi allora puoi. Discostandosi dal mondo reale, pensa che non esistano ostacoli oggettivi all’emancipazione delle donne e di conseguenza che non siano necessarie delle adeguate politiche che coniughino vita e lavoro. Sul versante opposto, Elly Schlein, neosegretaria PD, definita queer, femminista intersezionale e transfemminista di un partito woke in linea con il progressismo occidentale, ha fatto della propria bandiera le questioni di genere e LGBTQ+. Rivendica il suo essere donna emancipata, una donna che non è meno donna delle altre soltanto perché non ha sperimentato la maternità, ma soprattutto vuole più libertà per tutti e l’autodeterminazione assoluta. Talmente assoluta da sollevare il biasimo di una parte del mondo femminista che considera le sue idee favorevoli all’utero in affitto, al sex work come libero lavoro e alla transizione dei bambini, opinioni figlie del transumano e del liberismo neopatriarcale. Diventa evidente che al di là degli slogan da campagna elettorale perenne, e della spettacolarizzazione che si fa del dibattito sulle libertà individuali, più le due esponenti cercano di aggrapparsi a posizioni femministe e meno risultano tali. Tuttavia, entrambe a prescindere sono un simbolo intrinseco del femminismo proprio perché donne pioniere assurte per la prima volta a posizioni privilegiate di potere, vere apristrada che stanno scrivendo la storia del nostro Paese. Tra i due estremi opposti, come un fiume inquieto, ci sono la vita concreta di ogni giorno e milioni di donne che lottano loro malgrado per ottenere pari opportunità in tutti i campi lavorativi, sociali e culturali, per guadagnare credibilità, per far sentire la propria voce in mezzo al chiasso della retorica. La leader ship non ha connotazione di genere, una donna chiamata a gestire il “potere” – che sia politico, finanziario o istituzionale come la neoeletta alla presidenza della Corte di Cassazione – non deve dimostrare niente altro se non il fatto che l’Italia s’è desta, finalmente.

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