Inutili polemiche

L’ipocrisia della armocromia

di Vanessa Roggeri
L’ipocrisia della armocromia

Il polverone mediatico dopo l’intervista a Vogue rilasciata dalla segretaria del Pd Elly Schlein: su 30 domande che indagavano su visione politica, temi del lavoro e del clima, si è scelto di estrapolarne una di carattere personale

03 maggio 2023
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Che cosa ce ne importa se Elly Schlein ha una consulente dei colori, se il glauco si abbina meglio al suo incarnato e se dall’eskimo è passata al trench? Direi niente.

Ma è un fatto non da poco che dell’ormai famigerata intervista rilasciata a Vogue, ben 30 domande che indagano soprattutto la visione politica della segretaria del Pd su lavoro, clima e diritti LGTBQ+, i media abbiano deciso di estrapolare una singola risposta di carattere personale, la più ingenua, attratti dalla parolina magica: armocromia. Un attimo prima armocromista è un mestiere di nicchia sconosciuto ai più, e un attimo dopo armocromia diventa la tendenza del momento, un abuso linguistico temporaneo, ma anche un simbolo denigratorio da sbattere in prima pagina, da commentare nei talkshow in base ai colori di partito, da rivisitare in chiave ironica con i meme sul web. Insomma, l’Italia si è divisa tra accuse “radical chic” e rivendicazioni di “diritto all’eleganza”.

Ma perché tanto rumore per nulla? Elly Schlein ammette di non capire nulla di abiti e di affidarsi a un’esperta, risponde a una domanda che vuole sottolineare l’importanza del “power dressing”, ossia il potere dell’abito per una donna di potere esposta pubblicamente, e la domanda è coerente sia con l’interesse primario della rivista, la moda, che con il ruolo politico dell’intervistata. Elly Schlein non ha espresso un’eresia, ha soltanto rivelato quello che fanno tutti i leader di partito, i manager di spicco, star del cinema e della tv: rivolgersi a un consulente che si prende cura della loro immagine. “Non capisco perché il mio look sia uno dei problemi del Paese”, dice Elly, “delle donne si parla più dell’aspetto che di quello che dicono”. Posto che nel momento in cui salgono alla ribalta i soggetti politici vengono messi sotto la lente di ingrandimento anche per il loro aspetto (ad esempio, una volta eletta tutte le testate hanno ricamato sul nuovo stile Armani della presidente Meloni), non si tratta di una questione di sessismo, anzi è controproducente tirare in ballo una piaga sociale e culturale così seria per ogni critica o battuta rivolta a una donna. A riprova del fatto che non si tratta di sessismo, basti pensare alle prese in giro che dovette subire Renzi per essere apparso sulla copertina di Chi in giacca di pelle.

La verità è che in un Paese in cui l’abito fa il monaco e creare dibattiti sul nulla è sport nazionale, il termine armocromia è apparso come il luccichio irresistibile agli occhi della gazza, la perfetta e inutile quisquilia di contorno su cui concentrare l’attenzione mediatica. A Elly non si perdona il fatto di aver rilasciato una delle sue prime interviste alla rivista più chic e sfogliata al mondo, di essersi raccontata per sua stessa ammissione “sincera, non ipocrita, non costruita”, e di averlo fatto in un contenitore dove l’apparenza prevale sulla sostanza. Infatti, di un’intera intervista densa di contenuti, ciò su cui alla fine si punta il riflettore sono le foto patinate in tailleur e la parola armocromia. A Elly non si perdona nemmeno il fatto che per abbinare i colori del suo armadio ricorra a un’esperta che vanta una tariffa oraria di alcune centinaia di euro. Secondo un sociologo tedesco Schlein parlerebbe alla new middle class, una nuova classe sociale minoritaria aperta e cosmopolita, in pratica una élite. Se è vero che la comunicazione è fatta di linguaggio verbale e messaggio sotteso, è altrettanto vero che la comunicazione che sottende la scelta di Elly di affidarsi a una rivista così esclusiva non può trovarsi in sintonia con l’obiettivo di voler avvicinare la gente “comune”, in pratica quella che non può permettersi un consigliere per gli acquisti. L’errore di strategia comunicativa è evidente, ma è un autogol che in ogni caso, come da prassi nostrana, verrà presto dimenticato.

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