La Nuova Sardegna

Oristano

Il garante: «Carceri senza sicurezza»

Il garante: «Carceri senza sicurezza»

L’avvocato Mocci lancia l’allarme sulle condizioni sanitarie negli istituti di pena

03 aprile 2020
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ORISTANO. Il primo morto dentro le carceri per coronavirus è arrivato. I chilometri di distanza rendono tutto più ovattato, C’è però anche chi guarda con estrema attenzione a quel che succede in quel mondo. Il garante dei diritti delle persone private della libertà personale, l’avvocato Paolo Mocci, parte da un presupposto: «Si deve capire che è interesse di tutti che i cittadini ospiti delle carceri non siano attaccati dal virus, anche per i riflessi che ciò avrebbe sulla comunità esterna. Se già gli ospedali non riescono a sopportare la mole di infetti liberi, è facile figurarsi l’acuirsi dell’emergenza nel caso di richiesta da parte anche dei pazienti detenuti».

Poi si entra nel vivo delle critiche, in parte già avanzate da istituzioni come l’Unione delle camere penali, l’Osservatorio carceri Sardegna, l’Associazione nazionale magistrati e i garanti locali. L’avvocato Mocci si sofferma in particolare sull’aver condizionato l’applicazione della misura della detenzione domiciliare all’utilizzo di braccialetti elettronici, che non sono disponibili, rischiando quindi di rendere inapplicabile questo istituto, inattuabile nella pratica».

Mentre si discute di queste misure, la situazione nelle carceri sarde è quanto mai esplicativa, con istituti di pena quanto mai sovraffollati dove non sono «adottate al suo interno le medesime misure di profilassi applicate all’esterno: dispositivi di protezione personale non sufficienti per tutti gli operatori penitenziari e troppo spesso non a norma, distanziamento tra persone inesistente, regole di igiene primaria inevase, locali inadeguati o inesistenti per l'eventuale isolamento dei positivi, assistenza e cura a opera del personale sanitario non proporzionato per numero e risorse, impossibilità dell’eventuale ricovero presso strutture ospedaliere locali per mancanza del reparto nosocomiale dedicato ai detenuti».

Il problema viene forse sottovalutato perché si è portati a vedere il carcere come un sistema chiuso, ma «le pareti che circondano una prigione sono tutt’altro che impermeabili – prosegue Paolo Mocci –. Quotidianamente entra ed esce un numero importante di persone, come gli agenti di polizia penitenziaria o gli educatori, i sanitari, gli psicologi, gli amministrativi, che nonostante l'emergenza sanitaria, continuano a lavorare negli istituti. È quindi necessario affrontare il problema delle carceri per tempo, perché semmai accadesse che fosse l’emergenza a dettare le priorità e a governare le decisioni, si rischierebbero gravi conseguenze sulla salute dei detenuti, sul sistema sanitario e sulla sicurezza di tutti i cittadini». (e.carta)

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