L’alba senza Ardia accoglie pellegrini e cavalieri
di Maria Antonietta Cossu
Sedilo, seconda giornata senza la discesa nel santuario di San Costantino. Ora resta l’Ottava
2 MINUTI DI LETTURA
SEDILO. In un’atmosfera più intima e raccolta rispetto a quella del giorno prima si è consumato l’ultimo rito religioso in onore di San Costantino prima dei vespri e dell’Ottava. Ieri mattina una piccola folla si è radunata tra le navate del santuario e nel sagrato per assistere alle celebrazioni eucaristiche. Prima della messa solenne tre cavalieri hanno battuto al passo lo stesso sentiero che fino a due anni fa erano abituati a percorrere a spron battuto sui loro destrieri. Lo stesso avevano fatto martedì, in momenti diversi, una ventina di fantini.
Francesco Carta, cittadino di Bono di 87 anni, li scrutava dai muristenes de susu, da decenni il suo alloggio nei giorni della festa. La fede in San Costantino e la passione per i cavalli lo hanno spinto per più di cinquant’anni a guidare in groppa al suo destriero il corteo dei pellegrini in partenza dal Goceano verso Sedilo. Sono tante le storie che raccontano di un forte legame dei sardi con San Costantino. Chi per adempiere a una promessa, chi per esprimere gratitudine per i segni di benevolenza ricevuti, chi per invocare una grazia, anche quest’anno si è ritrovato nel tempio della religiosità popolare.
È il caso del gruppo di fedeli arrivati in pullman dalla frazione sassarese di Li Punti o quello di Fabrizio Sanniu, di Ghilarza: «Questo posto simboleggia la libertà di essere cristiani in mezzo a tante contraddizioni, perché in Occidente essi sono vittime di una forma più subdola di persecuzione», ha detto citando l’editto sulla libertà di culto promulgato proprio dall’imperatore Costantino nel 313. La figura del santo guerriero è stata evocata in tutte le fasi della messa solenne, cominciando dal battesimo e dalla conversione e finendo con i riferimenti al corale atto di fede che gli viene tributato anche attraverso l’Ardia.
Le celebrazioni si sono quindi concluse con l’augurio che a Sedilo si possa ripetere al più presto il rituale con le processioni a cavallo e a piedi. Le prime si sarebbero dovute tenere due giorni fa e all’alba di ieri. «A un annu como menzus de occannu», ha augurato il parroco don Battista Mongili: «Se tra un anno potremo festeggiare come si è fatto sino al 2019, sarà un buon segno. Significherà che avremo superato la fase critica che sta accompagnando la comunità internazionale dal 2020. Sarebbe una grazia grande per il mondo intero».
Francesco Carta, cittadino di Bono di 87 anni, li scrutava dai muristenes de susu, da decenni il suo alloggio nei giorni della festa. La fede in San Costantino e la passione per i cavalli lo hanno spinto per più di cinquant’anni a guidare in groppa al suo destriero il corteo dei pellegrini in partenza dal Goceano verso Sedilo. Sono tante le storie che raccontano di un forte legame dei sardi con San Costantino. Chi per adempiere a una promessa, chi per esprimere gratitudine per i segni di benevolenza ricevuti, chi per invocare una grazia, anche quest’anno si è ritrovato nel tempio della religiosità popolare.
È il caso del gruppo di fedeli arrivati in pullman dalla frazione sassarese di Li Punti o quello di Fabrizio Sanniu, di Ghilarza: «Questo posto simboleggia la libertà di essere cristiani in mezzo a tante contraddizioni, perché in Occidente essi sono vittime di una forma più subdola di persecuzione», ha detto citando l’editto sulla libertà di culto promulgato proprio dall’imperatore Costantino nel 313. La figura del santo guerriero è stata evocata in tutte le fasi della messa solenne, cominciando dal battesimo e dalla conversione e finendo con i riferimenti al corale atto di fede che gli viene tributato anche attraverso l’Ardia.
Le celebrazioni si sono quindi concluse con l’augurio che a Sedilo si possa ripetere al più presto il rituale con le processioni a cavallo e a piedi. Le prime si sarebbero dovute tenere due giorni fa e all’alba di ieri. «A un annu como menzus de occannu», ha augurato il parroco don Battista Mongili: «Se tra un anno potremo festeggiare come si è fatto sino al 2019, sarà un buon segno. Significherà che avremo superato la fase critica che sta accompagnando la comunità internazionale dal 2020. Sarebbe una grazia grande per il mondo intero».