«Una rete di malavita dietro la maxi piantagione di cannabis curata da sardi e colombiani»
La procura indaga per scoprire i legami delle otto persone arrestate
Villaurbana Gli inquirenti non credono a una coincidenza. Non può essere un caso che cinque persone di nazionalità colombiana arrivate con un visto turistico che scade a settembre siano finite per caso in quel campo e il giudice dà loro ragione. È tutto troppo strano e ben organizzato perché si possa etichettare il caso come un “normale” illecito legato alla coltivazione di cannabis simile a tanti altri visti negli ultimi anni in Sardegna. C’è un passaggio dell’ordinanza con cui è stata disposta la custodia cautelare degli otto indagati che non lascia spazio a dubbi. Dopo aver ricostruito il modo in cui era stata gestita la piantagione di 4.506 piante e considerando che 209 chili di marijuana erano già stati lavorati, il giudice per le indagini preliminari Marco Mascia scrive, nel momento in cui emette la misura cautelare della custodia in carcere, che appare evidente «un inserimento degli indagati in un più ampio contesto criminale dedito alla produzione e al traffico illecito di sostanze stupefacenti».
Sardi e colombiani hanno ruoli diversi, ma si sono dimostrati ben addentro alla situazione. La valutazione vale per «i promotori e organizzatori di tale attività, capaci di acquisire quanto necessario compresa la forza lavoro anche di origine straniera per avviare e indirizzare l’attività illecita» e vale «per gli esecutori dell’attività di coltivazione e lavorazione, giunti da altra provincia o arrivati da poco a Oristano, taluni con permesso turistico e tuttavia impiegati in breve tempo in modo stabile e organizzato in un’attività illecita di tale portata, a dimostrazione della loro affidabilità e competenza nel settore».
È proprio a questo punto che viene evidenziato «L’impiego di lavoratori di nazionalità colombiana, tutti residenti o domiciliati nel medesimo indirizzo e taluni di giovane età e di recente ingresso in Italia». Da ciò la deduzione logica è automatica. La loro presenze «suggerisce un reclutamento attraverso una rete più articolata e complessa di contatti e dunque un maggiore spessore criminale delle persone coinvolte». Traendo le conclusioni, è chiaro che la procura non si fermerà agli arresti eseguiti giovedì scorso dai carabinieri nella località Ceas ’e Perdixis, al termine della quale sono finiti in manette Massimo Meloni, 51 anni di Villaurbana, Stefano Poddighe, 60 anni di Villaurbana, entrambi difesi dall’avvocato Pier Luigi Meloni, Salvatore Zirone, 45 anni di Bono difeso dall’avvocata Nazarena Tilocca, e i colombiani Jhoan Camilo Moreno Grisales, Henry Rolando Moreno Grisales, Juan Manuel Alzate Grisales, Mateo Felipe Jimenez Martinez e Jhon Edison Moreno Chacon, tutti difesi dall’avvocata Katia Ledda. Il ruolo di questi ultimi è quanto mai sotto osservazione. Uno solo di loro risiederebbe infatti a Oristano, gli altri sono arrivati apposta per sbrigare una faccenda che ha tutta l’aria di non essere limitata ai confini della provincia.