La Nuova Sardegna

Partecipò alla strage di Lanusei

Piero Mannironi
Partecipò alla strage di Lanusei

Una carriera criminale cominciata con il sequestro dell'avvocato Alberto Mario Saba. Si costituì dopo avere incassato dallo Stato 300 milioni

14 ottobre 2008
3 MINUTI DI LETTURA





SASSARI. Quando lo conobbe, Luigi Lombardini ne rimase profondamente colpito. «E' un uomo notevole, molto intelligente» disse infatti il giudice-sceriffo parlando di Piero Piras con un giornalista. Il bandito di Arzana si era costituito a lui e al capo della Criminalpol Emilio Pazzi nelle campagne di Tertenia, dopo quasi dieci anni di latitanza. Era il 24 aprile 1980. La sua resa costò allo Stato circa trecento milioni di lire, una somma davvero considerevole per quei tempi.
Freddo, carismatico, imprendibile, Piero Piras è stato considerato negli anni Settanta uno dei pezzi da novanta del banditismo sardo. Lo inseguiva una fama fosca: l'aver partecipato al massacro di Villa Loddo. Con lui, da sempre legato strettamente al suo destino, c'era anche il cugino Pasquale Stochino, un silenzioso panettiere, rimasto un'ombra sfuggente fino al settembre del 2003, quando venne catturato dopo 31 anni di latitanza.

Quella maledetta sera del 15 agosto del 1972 un vento di morte si abbattè furioso nel giardino della villa del medico Vincenzo Loddo, alla periferia di Lanusei. Il tentativo di sequestro si trasformò in una strage. Nel commando dei banditi ci fu infatti un impazzimento, un corto circuito, l'incapacità di governare la tensione: bastò la reazione istintiva della vittima designata, cioé del dottor Loddo, perché quel giardino, in quella dolce sera di agosto, si trasformasse in un mattatoio. Morirono in cinque, tra cui un bandito stroncato da un proiettile sparato da un complice. Lo trovarono inginocchiato su un gradino, immobile, come raccolto in una preghiera muta.

I sospetti si concentrarono subito su Pasquale Stochino e sul cugino Piero Piras, 27 anni, pastore e studente e poi latitante, perché inseguito da un mandato di cattura per il sequestro dell'avvocato sassarese Alberto Mario Saba. Quella strage fu il terribile viatico della carriera criminale di Piras, che venne prima condannato all'ergastolo. Poi, in Cassazione, la pena si ridusse a 29 anni. Per il rapimento Saba, invece, gli vennero inflitti 19 anni di carcere.
Ma per lunghi anni il fantasma dell'imprendibile bandito arzanese venne inseguito da altre accuse di sequestri finiti nel sangue. Come quello di Mario Manca di Villahermosa, avvenuto il 17 aprile del 1971. Un gruppo di banditi fece irruzione a villa d'Ori, la casa di campagna dei marchesi Mario e Paolo Manca, fratelli gemelli. I due reagirono e i sequestratori aprirono il fuoco: Mario Manca morì immediatamente, mentre Paolo rimase gravemente ferito.

Quest'ultimo, una volta ristabilitosi, aprì due libretti al portatore per un importo complessivo di cento milioni di lire: la taglia per la cattura degli assassini del fratello. Si dice che la somma venne messa a disposizione del giudice Lombardini. Fu proprio quest'ultimo a mettere insieme una serie di indizi che portavano proprio a Piero Piras. Ma alla fine non bastarono e così lo stesso Lombardini prosciolse il bandito di Arzana.
Un altro episodio tragico nel quale rimase coinvolto Piras fu il sequestro-omicidio dell'ingegnere della Ferrari Giancarlo Bussi, rapito il 4 ottobre del 1978 a Villasimius. I familiari versarono 80 milioni di lire come riscatto, ma proprio dal giorno del pagamento, l'8 dicembre, i banditi non si fecero più sentire. In quella data Bussi era sicuramente già morto.

Dopo qualche mese, il giudice Lombardini spiccò una serie di mandati di cattura, uno dei quali proprio per Piero Piras. Per il sequestro-omicidio del povero ingegnere della Ferrari, però, il bandito di Arzana fu assolto.
Alla fine la resa. Dopo una lunga e difficile trattativa, Piero Piras si lasciò convincere a concludere la sua carriera criminale, ma pretese una somma consistente di denaro in cambio. Il suo “gemello” Pasquale Stochino, invece, non si lasciò convincere e continuò la sua latitanza.
I carabiniero lo hanno arrestato nel 2003, dopo ben 31 anni di fuga.
Incarichi vacanti

Sanità nel baratro: nell’isola mancano 544 medici di famiglia

di Claudio Zoccheddu
Le nostre iniziative