La Nuova Sardegna

Budoni, caccia ai componenti della banda che ha rapito Marcella Pau

Valeria Gianoglio
Marcella Pau confortata dalla figlia Laura racconta la terribile avventura
Marcella Pau confortata dalla figlia Laura racconta la terribile avventura

Era un sequestro vero quello di Marcella Pau, la donna di Budoni liberata tre ore dopo il rapimento. Il sequestro è stato sventato per l’imperizia dei rapitori, per la reazione immediata di parenti e paese e per quelle che gli inquirenti hanno hanno definito circostanze fortuite. La villa era attrezzata per una lunga prigionia. Ora si cercano i complici, sicuramente uno, forse più d’uno. Il racconto di Marcella Pau: «Mi hanno legata, ho pensato: ora mi violentano». I rapitori chiedono scusa

24 novembre 2010
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BUDONI. Ganci alle pareti, un vecchio materasso addossato a una finestra, gli altri vetri esterni oscurati con teloni neri e carta gommata, un paio di lettini ancorati al muro con alcune robuste catene. Il covo dove Marcella Pau è stata abbandonata per qualche decina di terribili minuti, il covo dove avrebbe dovuto trascorrere quanto meno una parte discreta della sua prigionia, bendata e incatenata, è un casolare rosa pallido attaccato al laboratorio di marmo dei suoi sequestratori.

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Si trova nella zona di Li Iti, a pochi chilometri da Budoni e appartiene a un professionista di Olbia che sino allo scorso settembre lo aveva affittato saltuariamente a qualche pastore. Dal 24 settembre risultava sfitto. In linea d'aria, si vede il market Eurospin. Tutt'intorno c'è un piccolo prato. Quando ce la portano, avant'ieri notte, con un cappuccio ben infilato in testa, e le mani legate così strette da farle male, l'imprenditrice riesce ad avvertire, infatti, la consistenza morbida dell'erba, che si alterna, ogni tanto, alle mattonelle.

E capisce di avere davanti un gruppetto di rapitori pronti a tutto. Ne sente due, avverte la presenza di un terzo che gli inquirenti sembra che abbiano già individuato mentre sospettano la presenza di altri due componenti della banda. I carabinieri ne sono certi, lo conferma lo stesso colonnello Vincenzo Bono, comandante provinciale dell'Arma: «Tutte le caratteristiche del covo fanno pensare che doveva essere una prigionia di una certa durata». Quanto, non è dato sapere.

Ma quello che è andato in onda lunedì notte è un sequestro di persona a tutti gli effetti, per quanto dal ritmo rocambolesco e dall'esito infausto per i rapitori. Sono i gemelli Giacinto e Michele Costa, finiti tra le mani dei carabinieri a tempo di record e grazie a una sequenza di colpi di scena e svolte improvvise che il colonnello Bono definisce con molta onestà, «una serie di circostanze fortuite», sollecitate ovviamente da uno straordinario sforzo di indagine.

A 24 ore dalla notte più lunga e movimentata vissuta dagli abitanti di Maiorca, una delle miriadi di frazioni di Budoni, per gli investigatori è tempo di bilanci. Tutto, dal loro fronte, è girato per il verso giusto. Tutto, dal fronte dei rapinatori, è girato invece per il verso sbagliato. A "girare" bene, tanto per cominciare, sono le telefonate che segnalano il rapimento appena compiuto.

Una, arriva alla centrale operativa dei carabinieri proprio quando il maresciallo Maurizio Auteri, comandante della stazione di Budoni, sta chiamando la centrale per altre faccende. Ebbene, proprio in quella frazione di secondo, uno dei suoi gli dice: «Comandante, abbiamo appena ricevuto sull'altra linea la segnalazione di un sequestro a Maiorca». Il maresciallo non si perde in chiacchiere, del resto è dodici anni che lavora nella zona e conosce benissimo la famiglia Braccu.

Si precipita a casa loro, sale in macchina con il figlio della rapita, Manuel, e si lancia alla caccia degli uomini. Sarà lui, poco dopo, insieme allo stesso Manuel, a speronare i rapinatori in una delle tante stradine del reticolato interpoderale tra Budoni e le sue frazioni. Sarà lui a beccare, nascosto in un macchione, Giacinto Costa, con tanto di guanti, pistola e aria colpevole. Altra circostanza che gira per il verso giusto: quando Tonino Braccu riceve la telefonata di allarme è in un distributore di carburante. E anche lui è in compagnia di un amico carabiniere.

Mentre, a riprova della sequenza da tempismo perfetto, c'è il fatto che il comandante della compagnia di Siniscola, Andrea Domenici, è appena atterrato da Palermo ed è già sulla strada dei rapitori. Ma il singolare mix di fortuna, prontezza e tenacia, non si ferma. La vera svolta di tutta la faccenda è il ritrovamento della Mercedes Clk di Marcella Pau. È l'auto che la donna è costretta a guidare per un breve percorso, sotto la minaccia di una pistola. Fino a quando i suoi rapitori non la trasferiscono nel portabagagli di un fuoristrada e la portano nel casolare dove la vogliono rinchiudere.

Quel fuoristrada, un Pajero intestato a Michele Costa, viene ritrovato proprio in un capannone annesso al casolare. È proprio su questi particolari che i carabinieri del Ris, insieme ai colleghi del Ros e del nucleo investigativo di Nuoro, ieri mattina concentrano analisi e indagini. Durante il nuovo sopralluogo, infatti, restringono le loro attenzioni sulla caccia a eventuali tracce di Dna e ad altri elementi che possano rivelare la presenza di complici. Già ieri sera, in caserma a Budoni, tra a una miriade di altri testimoni interrogati, si stava valutando la posizione del possibile terzo uomo.

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