La Nuova Sardegna

Ma che giustizia è questa?

Ferdinando Camon

No, questa non è giustizia, la giustizia dovrebbe essere qualcosa di molto diverso

05 ottobre 2011
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No, la giustizia non è così, dovrebbe essere qualcosa di molto diverso. La giustizia dovrebbe essere tale che, quando dice: colpevole, tutti credono che il giudicato sia colpevole. O, se dice: innocente, quello è innocente per tutti. Invece questa giustizia, la nostra giustizia, prima dice: massimamente colpevoli, di Amanda e Raffaele, colpevoli di aver ucciso con crudeltà e per motivi abietti la ragazza britannica Meredith Kercher, poi, due anni dopo, per lo stesso delitto e degli stessi accusati, dice: assolutamente innocenti, e li manda a casa. Quelli fanno fagotto e prendono, lui un’auto per tornare nella sua Puglia, lei il primo aereo per filarsene in America. Si chiederà: ma cosa doveva fare la giustizia, condannare anche se non aveva le prove? Non è qui il problema, non è nella giustizia che pronuncia le sentenze. È prima: nello svolgimento delle indagini e nella raccolta delle prove.

Adesso, in questo grado di giudizio, la difesa riesce a dimostrare che le prove dell’accusa sono state contaminate. Chi svolgeva le indagini e raccoglieva i reperti, con le mani coperte dai guanti, ha toccato prima oggetti appartenenti a Raffaele, e poi, con gli stessi guanti, il gancetto del reggiseno di Meredith: se poi le impronte di Raffaele si trovano anche su questo, è perché gli inquirenti ce le hanno trasportate. Ora la domanda è: come si fa a svolgere le indagini senza proteggere l’integrità delle prove via via acquisite? La scarpa: su un tappetino l’indagine aveva visto l’impronta di una scarpa di Raffaele, ma la difesa ha poi dimostrato che quell’impronta era più corta di circa 1 centimetro. Le indagini che puntavano a incastrare Unabomber nel Friuli, e che poggiavano sul famoso lamierino, sono saltate per una frazione di millimetro, qui a Perugia c’è addirittura un centimetro. Abbiamo un sacco di casi giudiziari eclatanti che vengono risolti tardi o male o non vengono risolti, ma non per una inadeguatezza della fase giudicante, bensì per la debolezza della fase indagante. Garlasco è un fatto ancora oscuro.

Come Unabomber. Il delitto di Cogne s’è aperto con un referto clinico drammaticamente assurdo: il medico che visitò il bambino, appena ucciso, con la testa fracassata, scrisse nel referto che al bambino era scoppiata la testa, ma da quando in qua succede un fenomeno del genere ai bambini? Sono passati giorni su giorni inutilmente. Qui a Perugia son passati 46 giorni prima che il gancetto del reggiseno fosse analizzato per bene. Quarantasei giorni voglion dire un mese e mezzo. Non puoi lasciar inerte per un mese e mezzo una prova decisiva. Di tutti i dati che furono raccolti all’inizio, e diffusi dai media (festicciole più o meno pericolose, droghette, studenti lontanissimi da casa, ubriacati da una libertà che non sanno gestire, tranne forse proprio la povera Meredith), al momento della sentenza di secondo grado, quattro anni dopo, non resta alcuna traccia.

Le indagini e il processo sono stati condotti in una maniera che non ha tutelato gli interessi di nessuno, né della vittima né degli accusati. La vittima: una ragazza inglese venuta a studiare in una nostra università, una donna perbene, seria, senza vizi, non amava stordirsi ai festini, rifiutava la droga e le avventure, litigava con la coinquilina perché voleva che la sua casa fosse pulita e in ordine. questa ragazza è stata uccisa bestialmente, e in quattro anni noi non riusciamo a dire ai suoi genitori e al mondo: ecco il gruppetto assassino. Gli accusati: in primo grado li condanniamo a pene pesantissime, in secondo grado li assolviamo completamente, ma se erano completamente innocenti, perché mai gli abbiamo fatto fare quattro anni di galera? C’eravamo anche noi italiani, in questo processo, e ne usciamo male. Peggio di tutti.
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