La Nuova Sardegna

«Tutti devono sapere che qui ci sono i sardi»

Serena Grassia
L’attacco di giovedì è stato portato contro l’avamposto italiano «Snow» in Gulistan
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Bala Murghab, la vita dei militari isolani del 151º Reggimento

04 febbraio 2012
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 BALA MURGHAB. E' una piccola città fatta di tende mimetiche e container di metallo, la base militare Columbus, a Bala Murghab, nel nord dell'Afghanistan.  Dispersa come un puntino tra le montagne del deserto afghano, circondata da dune di sabbia che si susseguono disegnando forme dolci e sinuose, la base sorge tra i resti di un antico cotonificio, sulle sponde del fiume Murghab. Un piccolo ponte la separa dal villaggio, tratteggiando due stili di vita molto diversi. Al di là del fiume si estende l'Afghanistan, immerso in un'epoca rurale in cui gli asini pascolano liberi sull'arteria principale fatta di polvere e fango, e le donne trasportano i figli appena nati nelle carriole, come se fossero passeggini.  Al di qua del fiume, nell'Afghanistan italiano di Columbus, il XXI secolo incalza con le sue tecnologie avanzate, il rigore della vita militare e l'attenzione costante dei nostri soldati che sanno di non poter concedersi distrazioni.  Un accavallarsi di dialetti e accenti riempie la mensa a ora di pranzo e cena, e una bottiglia di birra Ichnusa, vuota, poggiata su un muretto antistante la bouvette svela sin da subito la loro identità. Escolca, Cagliari, Sassari, Teulada, c'è un po' tutta la Sardegna a Bala Murghab. E' il 151º Reggimento Fanteria della Brigata Sassari che, sotto l'egida del Generale di Brigata Luciano Portolano, condurrà le operazioni militari nell'Afghanistan nord-occidentale fino a metà marzo, quando subentrerà la Brigata Bersaglieri Garibaldi.  Ma la Sardegna vive non solo negli accenti. Risuona nel fischiettare dei soldati che intonano l'inno della Sassari mentre vanno a farsi la doccia, e ancora nei racconti dei militari, che intorno al tavolo della mensa, seppur buona, sognano un porcetto arrosto o un piatto di ravioli al ragù dal sapore di casa. E magari scorgono la propria terra anche nel cielo azzurro di Bala Murghab, che di notte si colora di uno smalto scurissimo, puntellato di pagliuzze argentate.  «Stiamo convincendo gli americani a innalzare la bandiera dei quattro mori accanto a quella italiana. Gli afghani devono sapere che qua ci sono i sardi», racconta Mirko mentre cerca riparo all'interno della tenda-mensa di Columbus, per proteggersi dal freddo pungente come uno spillo. Mirko Frailis è un caporal maggiore capo trentatreenne di Escolca, ha lo sguardo fiero e consapevole, e cede a malapena all'emozione quando racconta dell'attentato in cui è rimasto coinvolto insieme alla sua squadra qualche settimana fa, nei pressi del COP (Combat Outpost) di Mono, nel nord-ovest, quasi sul confine col Turkmenistan.  «La vita di un soldato qui a Columbus ha un ritmo regolare, scandito da uscite, rientri, file alla mensa, e poi un film al computer o una partita a carte, la sera, nella tenda di un amico, quando il lavoro è finito e l'oscurità avvolge il campo, per impedire eventuali attacchi degli insurgents», continua Mirko.  E' la sera il momento in cui la tensione si allenta e i pensieri vanno verso la terra, la casa, la famiglia.  «"Siamo degli illusionisti, perché ci preoccupiamo di infondere fiducia nei nostri parenti, talvolta nascondendo la reale portata delle operazioni che svolgiamo», racconta Michele Arrus, un maresciallo di trentasei anni originario di Teulada, veterano ormai delle missioni all'estero. Il suo portamento sicuro ispira fiducia, e la premura con cui si occupa dei civili ospiti a Columbus, rivela sin da subito il suo spirito paterno. Gli amici lo chiamano il signor "Gnente", perché niente gliene frega, come dire: non ha peli sulla lingua. Il suo compagno d'armi nonché testimone di nozze, Luca Saba, di Selargius, di anni ne ha trentotto e lo chiamano il signor "Tutto", perché sa sempre tutto di tutto.  La scrisse proprio il nonno di Luca, Efisio Cogoni, per la moglie in patria, la frase incisa sul tavolo di legno della tenda di Michele, e in poche parole condensa il senso della vita di un soldato al fronte. Recita così: «Nasciu po sunfriri est s'ommini guerrieru a tui volgiu unu pensieru bistendi nou bistiri».  Lo zio di Luca, anche lui al fronte, la dedicò a sua volta alla moglie lontana, e così la famiglia Saba quella frase del nonno se l'è tramandata di generazione in generazione, di guerra in guerra, da quelle mondiali fino alle montagne afghane. Michele la mostra orgoglioso, come se attraverso essa mantenesse vivo il legame spirituale con i suoi predecessori sardi che hanno scelto il fronte. Un napoletano le avrebbe attribuito un valore scaramantico, ma i sardi di Bala Murghab sembrano non credere troppo nella scaramanzia, si affidano alla professionalità, alla caparbietà, e alla paura. Perché è proprio la paura che salva la pelle, che li spinge a non commettere imprudenze, a restare sempre in allerta. Ne è convinto Mirko, per il quale l'incolumità degli uomini della sua squadra è persino più importante della sua. "«'unico momento di noia, qui a Bala Murghab, l'ho provato dopo l'attentato, quando i miei ragazzi uscivano e io ero costretto a restare in base. Li chiamavo continuamente e mi rasserenavo solo quando li vedevo rientrare alla Fob (Foward Operating Base)». E' la solidarietà il sentimento più lampante nella base Columbus. «Quando la giornata è finita e il lavoro del giorno dopo è stato pianificato - racconta Michele - arriva il momento più umano, quello dell'ascolto, dedicato a un amico che si lascia andare a un attimo di stanchezza. Per noi quel momento è importante perché ci aiuta ad andare avanti, giorno dopo giorno». Come aiutano le gratificazioni professionali, che i militari ricevono quando escono con i lince per le perlustrazioni quotidiane e i bambini del posto li salutano sorridendo, talvolta addirittura con un 'ciao'. Sono gli stessi bimbi che l'indomani andranno alla Fob per le visite mediche, o semplicemente per mangiare i biscotti che i soldati regalano loro. Arrivano in tanti ogni giorno, alcuni sono realmente malati, altri solo curiosi. C'è sempre un fratello o una sorella più grande che accompagna quello minore, sono tutti vestiti di strati di stracci leggeri, nonostante le temperature siano molto vicine allo zero. Qualcuno chiede un paio di calzini, qualcun altro delle scarpe nuove. «Quando li vedo entrare alla Fob, penso che stiamo riuscendo nella missione, perché la gente del posto inizia a fidarsi di noi. La soddisfazione più grande sarà quando a questi bambini avremo garantito la sicurezza di una vita senza bombe, quando ciascuno di loro potrà andare a scuola senza rischiare di saltare in aria», conclude Michele. E a quel punto, quando i bambini di Bala Murghab andranno a scuola sicuri, i soldati ISAF finalmente potranno fare ritorno a casa: a Sassari, Escolca, Teulada, Cagliari, a mangiare porcetto arrosto e a bere birra Ichnusa perché, come ha detto il soldato William Chavez di Las Vegas, del reparto americano di Bala Murghab, per un sardo è più importante tornare in Sardegna che conquistare i gradi di carriera.
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