La Nuova Sardegna

Il Papa ai vescovi: sì alla messa in sardo

di Vannalisa Manca
Il Papa ai vescovi: sì alla messa in sardo

La straordinaria apertura di Francesco in occasione dell’incontro con la Federazione dei circoli degli emigrati

09 dicembre 2014
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SASSARI. Il desiderio è ormai diventato un sentimento comune, popolare: la celebrazione della santa messa nella parlata locale. Se ne discute da tempo all’interno della Chiesa sarda, e ora i tempi sembrano maturi. Proprio oggi l’argomento sarà all’attenzione dei vescovi della Conferenza episcopale sarda, ma già anche il Papa è rimasto affascinato da quel vento gentile arrivato dalla Sardegna. La richiesta del “nulla osta” alla messa in sardo arriva da lontano ed era stata “certificata” durante la visita del Santo Padre a Cagliari. Adesso sarà la delegazione degli emigrati sardi a esprimere più profondamente questo appello. Domani mattina, infatti, il Pontefice riceverà i delegati della Fasi, la Federazione delle associazioni sarde in Italia.

A San Pietro. Un incontro che avviene a pochi giorni dal convegno organizzato il 15-16 novembre a Oristano dal circolo culturale “Su Nuraghe” di Biella sul tema: “Pregare in sardo dentro e fuori dall’isola”. In quell’occasione il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato di Sua Santità, ha scritto una lettera al vescovo metropolita di Oristano, monsignor Ignazio Sanna, nella quale si legge che «Papa Francesco rivolge il suo cordiale e beneaugurante saluto, esprimendo vivo apprezzamento per la lodevole iniziativa volta a riflettere sui valori tradizionali della cultura sarda» ed esorta a proseguire «il fruttuoso scambio di beni umani e spirituali per un sempre più incisivo impegno nella comunità ecclesiale e nella società civile», nella Sardegna «dalle profonde radici cristiane».

L’appello. «Ci siamo mossi confortati dalla consapevolezza che il Papa, per esperienza sua e dei familiari, conosce la situazione di chi si trova in terra straniera in mezzo a parlanti un’altra lingua per loro “non materna”», dice Battista Saiu, originario di Pozzomaggiore, presidente del circolo di Biella, che ha ringraziato il Segretario di Stato. Al cardinale, Saiu ha fatto pervenire due esempi del lavoro che si sta facendo in Sardegna, e di cui al convegno «si è fatta una verifica circa la accuratezza, chiarezza e naturalezza - scrive il presidente di Su Nuraghe -. Un esempio riguardante i testi della liturgia e uno sulla preghiera dei Vespri della Madonna, con lo scopo di favorire una partecipazione più incarnata e inculturata alla preghiera della Chiesa universale».

Si tratta dei testi ad experimentum, secondo le indicazioni dell’episcopato locale. La speranza è che una copia di questi volumi possa essere autografata dal Pontefice, «non come segno di approvazione, ma come incoraggiamento verso quest’opera di inculturazione della fede - ha precisato Battista Saiu - così come gli stessi documenti magisteriali indicano». E, comunque, sarà l’occasione per sottoporre il “caso” ancora al Papa.

Le premesse. In realtà, da parte del Santo Padre non ci sarebbero preclusioni ad acconsentire che possa essere celebrata la liturgia in sardo, ma il problema concreto è fare testi decorosi in limba. Testi che appartengono alla ricca tradizione della pietà popolare e che si possono inserire nella liturgia eucaristica, nelle novene, nelle processioni. Occorre dare concretezza alle parole.

Le procedure. La Conferenza episcopale sarda ha istituito due commissioni ad hoc per i testi, i canti e le preghiere, e per la traduzione di testi biblici. Già, ma da quale lingua tradurre la Bibbia? Non dall’italiano, difficile dall’aramaico - la lingua di Cristo -, meglio dal greco o dal latino. A suo tempo, in Africa, il problema venne risolto inviando a Gerusalemme un gruppo di lavoro nella scuola ebraica. Si tradusse un testo oggi usato nella messa in Africa. Un testo diventato universale, come si vorrebbe per quello sardo. Una lingua unificata, che consideri il rapporto di oralità, adattandolo alla parlata locale. Insomma, non è certo la pronuncia a cambiare il Vangelo. Non a caso il circolo di Biella sta inviando alle 622 parrocchie sarde e a tutti i Comuni della Sardegna il testo de “Sa Santa Missa” di Antoni Manca del 1895, un momento in cui la messa in quasi tutta l'isola veniva celebrata nelle parlate locali. Si descrive il rito, tramandando così l'uso della messa in sardo e donandole autorità e una sua specifica autonomia.

Gli scritti. Il testo sardo dell’Ordinario della Messa era stato utilizzato ad expedimentum nella diocesi di Nuoro da parte di monsignor Pietro Meloni, per la festa dell’Annossata a Bitti e nella diocesi turritana da parte di padre Paolo Atzei, nelle messe di Quaresima celebrate da padre Raimondo Turtas nella chiesa di San Paolo a Sassari, nel febbraio 2008.

Sino al 1936-37 la liturgia veniva celebrata in latino, poi fu utilizzato l’italiano (lingua volgare), ora si rivendica il diritto di confessarsi nella parlata “volgare” sarda, perché «siamo sardi sempre - ricorda Saiu -, e pecchiamo in sardo».

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