Giulio Angioni: «È il segno dei tempi»
Il docente-scrittore: mi colpiscono i nuovi meccanismi messi in moto da chi sfrutta la credulità altrui
SASSARI. «Un sogno radicato da secoli, certo. Ma notizie come questa colpiscono per un altro aspetto: danno il segno dei tempi». Non è sorpreso più di tanto l’antropologo e scrittore Giulio Angioni. «Ma resto un po’ scosso dai nuovi meccanismi messi in moto da chi sfrutta la credulità altrui», ribadisce il docente dell’università di Cagliari.
Perché parla di un’idea antica?
«Beh, la convinzione di non morire mai nasce almeno duemila anni fa. Esattamente quando Qualcuno ha detto: “Se crederete in me, vivrete in eterno”. Concetti noti già con l’ebraismo. E ripresi da altre religioni salvifiche. Come il cristianesimo e l’islamismo. Ma qui mi pare affiori un evidente elemento di povertà».
Che cosa intende?
«In questo caso manca un fondamento. Si fa riferimento a un metodo e a un modello che vorrebbero essere scientifici. Ma a tutti gli effetti non si possono chiamare tali. E l’insieme alla fine si rivela dunque in tutta la sua miseria».
Può spiegare meglio questa sua valutazione?
«Da anni eravamo abituati a fare i conti con le bizzarrie di qualche miliardario americano. Non eravamo abituati a pensare che certe pratiche potessero venire intraprese anche da noi. Così oggi tutto questo, e in particolare la politica d’imprenditori che alimentano la speranza di una seconda vita, mi appare come un chiaro esempio di povertà sotto il profilo economico e sociale».
In ultima analisi qual è il suo giudizio su questi specifici aspetti?
«Lo ripeto: vicende del genere dimostrano tutta la miseria morale e intellettuale dei nostri tempi. E ci portano di conseguenza a essere pessimisti».
Ma per quale ragione esattamente lei sostiene che scelte di questo tipo sono basate sul nulla?
«Perché sono sì decisioni coerenti. Ma soltanto, e proprio, nel fondarsi sul niente. Da una parte, equivalgono a una petizione di certezza a pagamento. Dall’altra parte - dal punto di vista imprenditoriale voglio dire - assistiamo invece a uno sfruttamento commerciale determinato dalla speranza di rinascita. Quando? Fra 300 anni? Prima? Non si sa. Ecco io in un’idea del genere non investirei per niente. Punterei piuttosto sulla ricerca scientifica e sulla sua valorizzazione ad ampio raggio».
In fondo, però, lei stesso ha appena spiegato che quella di una vita dopo la morte è un’attesa umana che affonda le radici nei millenni. Non è così?
«Sicuramente. Anzi, questo fattore rappresenta uno degli elementi più originali del cristianesimo e ritorna in altre religioni ancora. Lo ritroviamo per esempio nell’Assunzione in Cielo di Maria Vergine. La stessa immagine del corpo che risorge è presente nel Giudizio Universale. E non direi che l’aver ammesso la cremazione e la donazione degli organi da parte della Chiesa ufficiale riduca questi passaggi a semplici simbolismi. Nelle credenze ufficiali cattoliche, anche in quelle più formali, la resurrezione dei corpi è sempre presente».
E allora perché in quest’occasione prevale una valutazione del tutto differente?
«Mah, la ragione mi pare molto evidente. Là c’è un mistero della fede dichiarato con forza e decisione. Qui, nell’opera commerciale svolta dagli imprenditori che si dedicano a certe attività, noto semplicemente una straordinaria capacità: riperpetuarsi sempre, fiutando l’affare nel momento per loro più opportuno». (pgp)