Tra massacri ed epidemie le donne conquistano un nuovo ruolo nella società
Prima l’ingresso in massa nelle fabbriche per sostituire gli uomini al fronte Poi l’impegno decisivo nella lotta per debellare il flagello della Spagnola
di EUGENIA TOGNOTTI
Che cosa è stata la pri. ma guerra mondiale per le donne? E’ stata solo lutto, sofferenza, ansia per i propri cari che sfidavano la morte? O ha rappresentato anche un momento di emancipazione, l’aprirsi di spazi, di nuove opportunità e di esperienze lavorative? E, ancora. Che impatto ha avuto l’agghiacciante epidemia di Spagnola sulla vita della popolazione femminile? Rispondere a questi interrogativi non è facile. Il conflitto non solo non cristallizza la tradizionale divisione dei ruoli - da una parte le donne “custodi del focolare domestico”, dall’altra gli uomini difensori della patria. Ma opera un inaspettato sconvolgimento in una società militarizzata investendo l’ordine familiare e sociale, ampliando le libertà, aprendo l’era delle possibilità. Con più di 4 milioni di uomini, impiegati nelle operazioni di guerra, le donne rappresentano una preziosa risorsa nelle industrie belliche e ausiliarie, negli uffici pubblici e privati, nelle banche, nelle lavorazioni a domicilio: nel gennaio del 1917, le donne occupate nell’industria sono un milione 240 mila.
La fiumana di donne. «La fiumana di donne penetra, gorgogliando e frusciando, nei luoghi degli uomini: campi, fabbriche», scrive Ugo Ojetti in un articolo del Corriere della Sera, nell’ aprile 1917- Oggi lavorano pel bene di tutti tante donne quante mai ne avevamo vedute, in lavori da uomini. E il problema della cosiddetta emancipazione s'è per la guerra capovolto: prima le donne chiedevano di essere emancipate in diritto per avere il modo di lavorare con la libertà e magari con il salario degli uomini; oggi le donne lavorano, spesso con alti salari, e a molti che s'opponevano alla loro emancipazione, questa sembra ormai logica e magari utile».
Un’altra storia. Pressoché ignorata nella miriade di iniziative per il Centenario dell’entrata in guerra le dimensioni della straordinaria mobilitazione femminile si può ricostruire, in tutta la sua portata scoprendo nuove fonti: la memoria orale, le lettere, le cartoline, le fotografie. Centinaia e centinaia di immagini raccontano un’altra storia: di ragazze al lavoro nelle fabbriche, nelle manifatture, nelle tipografie, negli ospedali, negli uffici, nelle aziende telefoniche. Donne che spostano covoni di fieno o sacchi di grano, accudiscono il bestiame, spazzano le strade, guidano i tram, distribuiscono la posta, confezionano sacchi, maschere antigas, calzature e uniformi. Il nuovo ruolo della donna influì sui costumi e sulla moda femminile: si accorciarono i vestiti; le “maschiette” esibiscono capelli corti, le gonne al ginocchio, atteggiamenti maschili .
Madrine di guerra. Sono le loro lettere, inviate al fronte, da madri, mogli e sorelle fidanzate, “madrine di guerra” a restituire, tutta intera la tragedia di quella sanguinosa guerra, la fatica e i sacrifici, l’ansia e la paura, la nostalgia, l’attesa, il lutto. Non era rimasto inascoltato l’appello del ministro Antonio Salandra: «Chi alla Patria non dà il braccio deve dare la mente, i beni, il cuore, le rinunzie, i sacrifici». L’ora, per questi ultimi, arriva con l’ondata d’influenza, proprio quando, nell’autunno del 1918, la gente comincia a pregustare la fine delle privazioni.
L’ora dei sacrifici. In assenza di medici e infermieri, le donne si fanno carico dell’assistenza ai malati, in famiglia e fuori, disinfettando stanze, curando e confortando, in una realtà drammatica, attraversata dallo sgomento e dall’orrore per le caratteristiche della malattia: il sangue dal naso, l’inquietante colorazione violetta della pelle e delle mucose; la «fame d’aria» e i rantoli degli ammalati, per lo più nel fiore degli anni. Uscendo per la prima volta dal tradizionale ambito delle iniziative delle opere di carità, i comitati femminili s’ incaricano della raccolta di fondi nonché del funzionamento delle cucine economiche e della distribuzione dei generi alimentari tra i malati bisognosi incaricandosi della raccolta di fondi, del funzionamento delle cucine economiche. Impegnati in varie iniziative di assistenza ai combattenti, ai profughi, agli orfani di guerra, partecipano nei municipi a riunioni operative. In molte città, tra cui Cagliari, sono le donne dell’Unione femminile a confezionare «schermi di protezione delle vie respiratorie per medici e infermieri», le mascherine, che fanno il loro esordio proprio durante la Spagnola.
Le signore sassaresi. A Sassari, un Comitato cittadino, formato da “signore” – informa La Nuova Sardegna – si occupa di distribuire cibo ai malati, d’intesa col prefetto. Nei piccoli paesi sardi le donne assistono gli infermi, vegliano i moribondi, vestono i morti, il cui numero, rispetto ad anni di mortalità ordinaria, era quasi raddoppiato: nel 1918, a Lanusei, i decessi conoscono in un anno un incremento dell’84 per cento: da 118 a 218. Le infermiere e le volontarie della Croce rossa prestano assistenza nei grandi ospedali , ma anche in ospedaletti da campo e infermerie di fortuna, in una inedita prossimità con corpi maschili feriti, storditi dai gas, martoriati dalle piaghe. La tremenda Influenza infierisce in modo particolare sulle donne. Un fenomeno, quello della sovra mortalità femminile, che neppure i clinici riuscivano a spiegarsi, forse perché sottovalutavano il fatto che a farsi carico del l’assistenza e della cura degli ammalati e femminile.
Nuove responsabilità. All’indomani della guerra nel clima di commemorazione e di celebrazione, le donne sono presenti per lo più in funzione allegorica: la Vittoria, la Patria, la Madre. Pure i quattro lunghi anni del conflitto, l’ingresso nel mondo del lavoro, le nuove responsabilità sociali e familiari, avevano dato una spinta, più importante di quanto allora non apparisse, al processo di emancipazione.