La Nuova Sardegna

Lotta per la vita, la forza di Gabriele i cui muscoli si trasformano in ossa

di Nadia Cossu
Una foto simbolo degli effetti della fibrodisplasia ossificante
Una foto simbolo degli effetti della fibrodisplasia ossificante

Ha 16 anni, è di Bosa e soffre di una forma di fibrodisplasia. Una malattia rara per la quale non esiste ancora una cura

12 ottobre 2017
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SASSARI. La forza d’animo di un padre e di una madre non conosce confini quando l’obiettivo è la salute del proprio figlio.

Una mamma sente quando qualcosa nel suo piccolo non va. Una sensibilità sopraffina che, in questa storia di difficoltà e speranza, è servita a cogliere i segnali anomali, già nei primi anni di vita del bambino: tremore, un’inspiegabile rigidità, il capo che non riusciva a reggersi da solo, quelle macchie sulla pelle.

Assunta per il suo Gabriele è andata ovunque e ha consultato chiunque. «Mio figlio – racconta oggi dalla sua casa di Bosa – è stato rivoltato come un calzino nei vari ospedali in cui siamo stati, ma purtroppo solo nel 2006 è stato scoperto il gene della malattia che gli è stata alla fine diagnosticata con certezza: la fibrodisplasia ossificante progressiva».

Quello di Gabriele – che oggi ha 16 anni e mezzo, non ha alcuna intenzione di arrendersi alla malattia e frequenta il quarto anno dell’istituto agrario di Bosa – è l’unico caso di Fop (così viene comunemente chiamata la patologia) in Sardegna ed è uno dei pochi in Italia. La fibrodisplasia ossificante è una malattia genetica rarissima (ne viene colpita una persona ogni due milioni e ad oggi non esiste una cura) che provoca la trasformazione dei muscoli e dei tendini in ossa, lentamente. È conosciuta anche come sindrome “dell’uomo di pietra” perché rende le membra di chi ne è affetto immobili come una statua umana. «Si verifica un anomalo sviluppo di tessuto osseo in aree del corpo in cui di solito l’osso non è presente» racconta Assunta, come appunto i muscoli, i tendini e i legamenti. In genere, questa ossificazione si manifesta in seguito a una piccola lesione.

«Il primo sospetto che qualcosa non andasse l’ho avuto già quando Gabriele aveva sette mesi. Avevo un altro figlio e notavo le differenze. La sua sofferenza nel fare certe cose, le smorfie di dolore, non sollevava la testa». Piccoli ma importanti segnali che convinsero Assunta e suo marito a sottoporre il bambino a una prima indagine genetica. Ma era appena il 2001 e sarebbero passati altri cinque anni prima della scoperta del gene che subisce la mutazione. «Siamo arrivati dappertutto, descrivevo ai vari medici i sintomi che presentava Gabriele ma nessuno capiva cosa potesse avere». Poi all’età di tre anni compare una macchia rossa sulla colonna «che pian piano ha cominciato a gonfiarsi come una nocciolina». Lì la situazione diventa preoccupante e i medici iniziano a parlare di una forma tumorale. «Siamo andati al Gaslini, Gabriele è rimasto ricoverato un mese, è stato sottoposto a numerose biopsie che non facevano che accentuare le ossificazioni – racconta la mamma – Nel frattempo comparivano diversi bozzi sulla schiena. Finché oncologa e chirurgo hanno deciso di operarlo per rimuovere quelle che a loro giudizio erano masse tumorali». Ma Assunta sentiva che quell’operazione “alla cieca” era troppo rischiosa e inutile tanto da spingerla a fare un’importantissima domanda ai medici: «È normale asportare qualcosa senza sapere cosa sia?».

E tutto a quel punto si ferma, le luci della sala operatoria si spengono. Il giorno successivo è un luminare che una volta alla settimana opera al Gaslini a fare un’indagine clinica (non ancora genetica) sul bambino e a comunicare la diagnosi ai genitori. Superata la disperazione iniziale, hanno deciso di rimboccarsi le maniche e di sostenere in ogni modo l’associazione Fop Italia presieduta da Enrico Cristoforetti che ha sede a Sabbionara d’Avio (Trento). La stessa che ha organizzato per domani e sabato, per la prima volta in Sardegna all’hotel Carlos V di Alghero, un congresso internazionale sulla malattia.

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