La Nuova Sardegna

Il parroco che ha benedetto presidenti, soldati e portaerei

di Serena Lullia
Il parroco che ha benedetto presidenti, soldati e portaerei

Per quarant’anni ha guidato in prima linea la parrocchia della Maddalena «Una volta ho detto messa anche nel sottomarino nucleare americano»

22 ottobre 2018
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INVIATA ALLA MADDALENA. La sua mano ha benedetto ufficiali della Marina italiana e marines americani. Portaerei russe, navi da guerra e sottomarini Usa. Le sue orecchie hanno ascoltato le confessioni di presidenti della Repubblica e ministri. I suoi occhi hanno visto la piccola isola indossare le stellette con orgoglio e poi perderle tra lacrime e gioia. Passare dai riflettori all’oblio. Don Domenico Degortes, 77 anni, sfoglia il libro della storia maddalenina di cui è uno degli autori e dei protagonisti. 20 anni vice parroco, altri venti parroco. Oggi gioiosamente in pensione. Una vita da servitore del Signore e degli uomini in un luogo la cui bellezza è, come lui stesso dice, il segno evidente della presenza di Dio.

Bambino devoto. Don Domenico nasce a Olbia nel 1941 da una delle famiglie dall’olbiesità certificata con orgoglio. I Degortes. A dieci anni ha già deciso chi sarà la sua sposa. La Chiesa. In prima media entra in seminario. «Avevo uno zio prete – racconta –. Venne una volta a trovarci a casa e io ne rimasi colpito. Allora dissi: io vorrei essere come lui. Quando finii le scuole elementari dissi che volevo entrare in seminario. E così fui mandato a Tempio». La sua decisione non stupisce la famiglia che vive un rapporto speciale con la religione. «Mia mamma era morta quando avevo quattro anni e mio padre si era risposato – ricorda –. La mia matrigna, che io consideravo mia madre era una catechista. Anche mio padre era molto legato alla Chiesa, era attivo nel gruppo di San Vincenzo. La mia decisione non stupì nessuno e fu accolta con grande felicità». Don Domenico per cinque anni frequenta il seminario a Tempio, poi per otto anni si trasferisce a Cuglieri. Torna a Tempio per diplomarsi al liceo. Poi prosegue con gli studi di Teologia e viene mandato dal vescovo a Roma per un anno di specializzazione. Torna a Tempio come vice parroco in Cattedrale, dal 1966 al 1973.

L’isola delle stellette. A 33 anni arriva nella parrocchia della Maddalena guidata dallo storico don Capula. In un’isola che da due anni ha indossato le stellette a stelle e strisce. Don Domenico affianca il parroco nelle relazioni con la comunità americana. Un rapporto delicato, da cucire con l’ago e il filo della pazienza. «Quando arrivai proposi a monsignor Capula di fare un incontro ecumenico. Ne parlammo con il cappellano americano che era protestante, battista. Accettò l’idea ma non il momento di preghiera. Andammo a pranzo insieme con tutti i sacerdoti. Ci fu servita pasta alla vodka, pesce e come dessert banane flambè. Peccato che i protestanti non bevano alcol. Non fu un buon inizio», ricorda ridendo. In realtà poi l’incontro ecumenico divenne una funzione solenne che si ripeteva tutti gli anni con due momenti di preghiera. Uno alla Maddalena e uno nella base militare di Santo Stefano. «La presenza degli americani ci manca – aggiunge il sacerdote –. Portavano movimento, economia e una multiculturalità che era un arricchimento. Perché c’erano americani, afroamericani, ispanici, filippini. Una comunità eterogenea che conviveva in un reciproco scambio umano e culturale che ha reso la nostra mentalità aperta».

Alla guida del sommergibile. Don Domenico apre il libro dei ricordi. Le messe celebrate a bordo delle navi da guerra Emory land e Gilmore. Sulla portaerei russa arrivata a Santo Stefano nel 1997, a cui la nave americana lasciò l’ormeggio, spostandosi in segno distensivo in rada. «Ma ho detto messa anche sul sommergibile nucleare e qualche volta mi hanno fatto anche provare a portarlo», dice sorridendo. Don Domenico ricorda ogni dettaglio della convivenza con gli americani e dei suoi 40 anni con la comunità.

Tutti i presidenti. Un periodo in cui, prima da vice e poi da parroco ha potuto conoscere anche ministri e presidente della Repubblica. Come Cossiga. «Quando era ministro degli interni d’estate veniva a messa, e spesso si confessava anche da me. Arrivava con la scorta, erano i tempi delle Brigate rosse. Lui stesso era armato, ma non voleva seguire la celebrazione con la pistola. Quindi veniva in sagrestia e me la consegnava. Io la mettevo nella cassaforte e alla fine della funzione gliela restituivo». Il sacerdote ricorda poi la generosità del presidente Ciampi. «Ci donò un’acquasantiera e 3mila euro a nome della moglie per i poveri». Di Napolitano apprezzò invece il rispetto verso la Chiesa. «Lo invitai a visitare il museo diocesano. Io passai davanti all’altare e feci la genuflessione. Lui non è credente, ma in segno di rispetto chinò il capo. Un gesto che apprezzai molto».

Vicino ai malati. Modi cortesi, una voce leggera come una carezza, una parola per tutti. Soprattutto per gli ammalati. Per anni è stato cappellano all’ospedale Paolo Merlo. Il suo sorriso tra le corsie un sollievo per le anime sofferenti. «Sono sempre stato molto legato all’ospedale – dice –. Come cappellano e come paziente perché lì sono stato operato. Provo grande tristezza nel vederlo svuotato. Con un presidio di cittadini che tentano di difenderlo. Era un ospedaletto efficiente. Con una camera iperbarica gioiello, una dialisi di alto livello. Capisco l’esigenza di fare economia, ma non a discapito della gente. Mi dispiace poi sapere che i medici non vogliono venire alla Maddalena. Ricordo che fare il dottore è anche una missione e mi appello alla generosità dei medici perché accettino di andare in periferia, come una volta facevano i maestri che andavano nelle isole e nei fari per insegnare alle famiglie dei faristi».

La nuova vita. Da una manciata di giorni don Domenico ha ceduto le chiavi della parrocchia al suo successore. Ora è vicario parrocchiale. «Le mie giornate da ora in poi si svolgeranno in modo molto intenso e gioioso. Perché non avrò il peso delle responsabilità amministrative e organizzative dalle quali il vescovo mi ha sollevato e lo ringrazio. Posso così dedicarmi totalmente al servizio sacerdotale, alle messe, alle confessioni, all’incontro con la gente e all’assistenza ai malati».

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