La Nuova Sardegna

Stefania Craxi: «Mio padre come Garibaldi: costretto a morire in esilio»

di Alessandro Pirina
Stefania Craxi: «Mio padre come Garibaldi: costretto a morire in esilio»

In una intervista esclusiva alla Nuova Sardegna la figlia ricorda le visite dell’ex leader del Psi a Caprera sulla tomba del Generale. «Sono stati accomunati dall’amore per la libertà ma anche dallo stesso destino»

16 gennaio 2020
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SASSARI. Bettino Craxi a Caprera era di casa. Quasi ogni anno, il 2 giugno, l’allora leader socialista sbarcava nell’isola dell’arcipelago per rendere omaggio a Giuseppe Garibaldi. Il suo idolo negli anni della formazione, il suo idolo quando era all’apice del potere, ma anche - o forse soprattutto - quando è caduto in disgrazia dopo Tangentopoli. Una passione, quella per l’Eroe dei due mondi, che l’ex premier ha tramandato alla figlia Stefania, oggi parlamentare di Forza Italia, che in occasione del ventennale della morte del padre ha dato alle stampe il libro “Bettino Craxi: Parigi-Hammamet”, un romanzo scritto dallo stesso Craxi in cui, attraverso la finzione narrativa, rilegge gli avvenimenti che hanno segnato la fine della sua parabola politica, e di fatto della sua vita.

Senatrice Craxi, qual era il legame di suo padre con la Sardegna?
«Il suo rapporto con la Sardegna vuole dire essenzialmente Giuseppe Garibaldi e l’isola di Caprera. La mia secondogenita si chiama Anita, e non per caso».

Già, la prima moglie di Garibaldi.
«La sua era una passione vera, dettata non solo dalla ammirazione per le gesta dell’Eroe dei due mondi - che con il suo eroismo aveva consegnato l’Italia agli italiani - ma lo amava anche perché Garibaldi era un socialista umanitario. Aveva una passione sincera per quel senatore di Ozieri che si presentava con il poncho in Senato, che parlava di povertà, di diritti, che era l’alfiere della Lega per la libertà che propugnava la parità tra uomo e donna, che si batteva per i comuni, che voleva l’elezione dei magistrati. La cosa paradossale è che sono due uomini vissuti in due epoche diverse ma che il destino ha accomunato. Entrambi amanti della libertà, entrambi riposano in due tombe che il mare separa dall’Italia, entrambi in esilio in Tunisia - perché anche Garibaldi dopo la morte di Anita se ne andò in Tunisia, e ancora oggi si può visitare la casa. Di entrambi, i detrattori dicevano che avevano nascosto un tesoro. Ed entrambi, negli ultimi istanti della loro vita, hanno guardato da lontano l’Italia, facendo amare riflessioni. “Tutt’altra Italia io sognavo nella mia vita, non questa miserabile all’interno e umiliata all’estero ed in preda alla parte peggiore della nazione”. Questo diceva Garibaldi e sono certa che Craxi l’avrebbe sottoscritto».

Il 19 gennaio sono vent’anni dalla morte di suo padre. In questi giorni si è riacceso, fortissimo, il dibattito tra sostenitori e accusatori.
«Ma rispetto al passato c’è una grande differenza: quelli che continuano a denigrare Craxi sono un’infima minoranza. La storia ha fatto il suo lavoro. E la cronaca stessa sta facendo il confronto tra lo statista qual è stato Craxi e alcuni personaggi di questa Repubblica che io definisco “scappati di casa”. Io mi prendo il merito di avere impedito che in questi vent’anni sulla tragica vicenda della morte di Craxi, in esilio, si stendesse una coltre di oblio. Oggi sono più serena perché la storia dirà chi è stato Craxi, un uomo che ha lavorato con passione e lealtà per il bene del suo Paese».

Per lo Stato italiano suo padre è morto da latitante.
«Lo stesso che ha offerto i funerali di Stato? Quello che ha mandato i suoi rappresentanti ai funerali di Tunisi? Suvvia, siamo seri! Questo è un tentativo di mistificazione che dura da vent’anni. Craxi non si è sottratto alla giustizia. È andato a casa sua (ad Hammamet, ndr) nel maggio 1994 con il suo passaporto. Lui si è sempre detto disponibile a rispondere ai magistrati nei modi consentiti dalla legge tunisina. Lo hanno dichiarato illegalmente latitante con un ridicolo documento di irreperibilità. A casa sua sono venuti a trovarlo capi di Stato, amici dall’Italia. Aveva dato anche la sua disponibilità a essere ascoltato dalla Commissione stragi. Era irreperibile solo per la legge italiana. I magistrati non hanno mai chiesto di venire a interrogarlo. Dopo di che si è rifiutato di rispondere a una giustizia che stava agendo per motivi politici ed è stato accolto in Tunisia come esiliato secondo la legislazione internazionale».

Ma a carico di suo padre sono state emesse due condanne.
«In nessuna ci sono atti di corruzione e arricchimento personale. Ed entrambe sono state condannate dalla Corte di Strasburgo. La verità è che volevano toglierlo di mezzo».

Le monetine del Raphaël sono state l’inizio della fine di Craxi: come visse quell’episodio?
«Fu un momento durissimo. Io aspettavo la mia terzogenita e vidi la scena in tv. Avrei voluto essere con lui. Mi chiamò la sera e mi trovò molto scossa. Mi disse: “ricordati che una Craxi non piange mai”. In questi anni gli ho disubbidito parecchie volte».

È uscito al cinema “Hammamet” di Gianni Amelio. Tutti concordi sulla grande prova di Favino, ma c’è chi sostiene che manchi la politica.
«Non si può chiedere a un film di fare quello che la politica non ha fatto in 25 anni. Amelio è un regista intimista che ha scelto la tragedia classica per raccontare un dramma repubblicano, perché quella di Craxi è stata una grande tragedia umana e politica».

Suo padre ha avuto a che fare con molti politici sardi. Che ricordi ha?
«Cossiga fu l’ultimo che venne a trovarlo ad Hammamet poco prima della sua morte. Fu un incontro molto commovente. Craxi gli disse: “Francesco, sai che è l’ultima volta che ci vediamo”. Era consapevole che sarebbe morto lontano dall’Italia, ha rinunciato alla sua vita per difendere le sue idee. Cossiga gli disse: “ma perché non racconti che quei finanziamenti illegali servivano per aiutare le grandi cause di libertà nel mondo?”. E lui: “non mischiare le grandi cause di libertà con le mie misere vicende giudiziarie”».

Con Berlinguer fu un rapporto difficile.
«Molto complicato. Craxi non si è mai spiegato perché avesse questo astio nei suoi confronti. Ogni tanto ce lo diceva. Berlinguer era un conservatore, non amava né la tv a colori né le autostrade. Tanto che Craxi diceva ai comunisti con cui aveva più confidenza: “portatelo a Milano e così vede come gira il mondo”».

Neanche con Mario Segni i rapporti furono idilliaci. In occasione del referendum del 1991 suo padre invitò gli italiani ad andare al mare.
«Chiedo, il referendum di Segni ha portato più stabilità, più governabilità, più rappresentatività? Craxi ha sempre pensato che servisse una grande riforma istituzionale, di certo non poteva bastare una nuova legge elettorale. La legge elettorale non può e non dovrebbe fare sistema, anche perché non vi riesce. Guardiamo a cos’è successo in questi anni».

È più tornata a Caprera?
«Quando posso ci torno e provo sempre una grande emozione, un grande senso di patria».

Un’ultima domanda: perché lo chiama Craxi e non mio padre?
«Per due motivi: primo, perché io lo difendo perché è stato Craxi nella storia di questo Paese e, seppur figlia, ho fatto una grande battaglia politica non personale o famigliare. Secondo, perché in quanto figlia preferisco tenere un po’ di distanza emotiva».

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