Minorenni bulli e picchiatori in branco seminano il terrore
di Nadia Cossu
La procuratrice Luisella Fenu lancia l’allarme: la violenza è in aumento «I ragazzini più fragili vengono presi di mira, le famiglie devono vigilare»
26 gennaio 2021
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SASSARI. A poche ore dalla chiusura del caso Siniscola con un’indagine conclusa a tempo di record nei confronti di tre quindicenni accusati di tentato omicidio, Luisella Fenu, procuratrice nel tribunale per i minorenni di Sassari sottolinea l’importanza di agire tempestivamente: «È stato commesso un reato con un’efferatezza da veri criminali e la Procura ha risposto con un intervento immediato. Prassi fondamentale che cercheremo di utilizzare anche nelle indagini future».
I gruppi violenti. «Si sta registrando un incremento dell’aggressività nei giovani – spiega con preoccupazione la Fenu, in servizio come capo della Procura dal 16 settembre 2020 – Si stanno ricostituendo gruppi violenti di ragazzi dai 15 anni in su che aggrediscono indistintamente persone sconosciute o conosciute. In passato erano diciassettenni, ora l’età media si è abbassata». Dallo studio, anche a livello investigativo, dei casi emerge un aspetto comune: «La mancanza di attenzione nei confronti della sofferenza altrui. Dovuta a un deficit educativo e al non essere intervenuti quando ancora si poteva recuperare un certo disagio. Molti non pensano alle conseguenze delle loro azioni e spesso nemmeno sanno che stanno commettendo un reato».
Il teppismo. La violenza dei gruppi, ultimamente, sta creando molto allarme in diverse città. E numerose segnalazioni alla Procura dei minori arrivano anche dal centro storico di Sassari. «È una vera emergenza, un gravissimo problema per la comunità – conferma la procuratrice – Il nostro ufficio sta lavorando proprio su questo fronte a stretto contatto con tutte le forze dell’ordine e con la prefettura. È in via di definizione l’organizzazione di una task force che farà di tutto per arginare il fenomeno. Parliamo di una cinquantina di ragazzi, si aggregano e girano indisturbati nel centro storico a spacciare droga e commettere atti di teppismo. Anche questi vanno fermati prima che sia troppo tardi».
Le responsabilità della famiglia. Quando si parla di reati a carico di giovani o giovanissimi non si può non pensare a quali e quante eventuali responsabilità abbiano i genitori degli stessi. Luisella Fenu cita un esempio calzante, che ben si adatta all’altra emergenza del momento: la rete. «Per potersi iscrivere ad alcuni social è prevista un’età minima. Di recente mi è capitato di fare un incontro in una scuola di Sassari e quando a una dodicenne ho chiesto come avesse fatto a iscriversi su Tik Tok mi sono sentita rispondere: “Mi ha iscritto mamma, ha messo i suoi dati”. Ecco, allora capiamo davvero che il problema va risolto anche a monte». Con una presa di coscienza, questo il senso, da parte degli adulti di quanto pericoloso possa essere il mondo dei social e quanto importante sia la sorveglianza costante dei propri figli.
Revenge porn. È un altro allarme. «C’è stato un aumento di reati – spiega Luisella Fenu – legato alla diffusione non consensuale di immagini pedopornografiche. Foto o filmati fatti magari dal fidanzatino con il consenso della persona ma divulgate senza autorizzazione. E una volta che le immagini finiscono sulla rete non le fermi più. Di base c’è una grande ingenuità nei ragazzini, si manda la foto osé all’amico convinti che resti nel suo cellulare e invece spesso non è così. Anche in questo caso bisogna intervenire e negli incontri nelle scuole cerchiamo di spiegare quali sono i pericoli».
Cyberbullismo e lockdown. «Con le scuole chiuse per via dell’emergenza sanitaria legata al covid – fa sapere la procuratrice – i casi di stalking e cyberbullismo sono rimasti a livelli standard, il numero è costante. In particolare ultimamente vengono creati gruppi su Whatsapp dove viene preso di mira qualcuno, solitamente una persona fragile. Viene modificata la sua foto, la vittima viene sbeffeggiata, ridicolizzata e a volte anche minacciata. Spesso sono i genitori che lo scoprono e ce lo segnalano. È un fenomeno che matura negli ambienti scolastici ed ecco perché di recente ho mandato una lettera ai dirigenti chiedendo di comunicare al nostro ufficio i casi di dispersione scolastica durante la dad (didattica a distanza ndc) o casi di uso distorto del computer da parte degli studenti durante le lezioni. Il monitoraggio è stato avviato e speriamo porti presto a dei risultati».
Codice rosso e Rete Dafne. La procuratrice Fenu, che nell’ufficio lavora a stretto contatto con la sostituta Roberta del Giudice, guardando i numeri commenta laconicamente: «Il lockdown non ha fermato niente, mi riferisco al penale e anche al civile», ossia l’ambito che include il disagio familiare e i maltrattamenti subiti da minori. Proprio qui, anzi, i numeri sono cresciuti. La Rete Dafne (che garantisce alle vittime di reato accoglienza, ascolto, informazione sui diritti, supporto psicologico e psichiatrico, orientamento, accompagnamento ai servizi e mediazione), che collabora con la Procura dei minori, ha ricevuto nel 2019 96 richieste, nel 2020 sono state 112, con un exploit da aprile ad agosto (72 contatti) in seguito all’attivazione della reperibilità. «Nel 2020 – aggiunge la Fenu – ci sono stati 40 codici rossi e 17 inserimenti urgenti in comunità di madri con bambini. Numeri aumentati rispetto al 2019 anche probabilmente a causa del lockdown». E della convivenza “forzata” nel nucleo familiare.
I gruppi violenti. «Si sta registrando un incremento dell’aggressività nei giovani – spiega con preoccupazione la Fenu, in servizio come capo della Procura dal 16 settembre 2020 – Si stanno ricostituendo gruppi violenti di ragazzi dai 15 anni in su che aggrediscono indistintamente persone sconosciute o conosciute. In passato erano diciassettenni, ora l’età media si è abbassata». Dallo studio, anche a livello investigativo, dei casi emerge un aspetto comune: «La mancanza di attenzione nei confronti della sofferenza altrui. Dovuta a un deficit educativo e al non essere intervenuti quando ancora si poteva recuperare un certo disagio. Molti non pensano alle conseguenze delle loro azioni e spesso nemmeno sanno che stanno commettendo un reato».
Il teppismo. La violenza dei gruppi, ultimamente, sta creando molto allarme in diverse città. E numerose segnalazioni alla Procura dei minori arrivano anche dal centro storico di Sassari. «È una vera emergenza, un gravissimo problema per la comunità – conferma la procuratrice – Il nostro ufficio sta lavorando proprio su questo fronte a stretto contatto con tutte le forze dell’ordine e con la prefettura. È in via di definizione l’organizzazione di una task force che farà di tutto per arginare il fenomeno. Parliamo di una cinquantina di ragazzi, si aggregano e girano indisturbati nel centro storico a spacciare droga e commettere atti di teppismo. Anche questi vanno fermati prima che sia troppo tardi».
Le responsabilità della famiglia. Quando si parla di reati a carico di giovani o giovanissimi non si può non pensare a quali e quante eventuali responsabilità abbiano i genitori degli stessi. Luisella Fenu cita un esempio calzante, che ben si adatta all’altra emergenza del momento: la rete. «Per potersi iscrivere ad alcuni social è prevista un’età minima. Di recente mi è capitato di fare un incontro in una scuola di Sassari e quando a una dodicenne ho chiesto come avesse fatto a iscriversi su Tik Tok mi sono sentita rispondere: “Mi ha iscritto mamma, ha messo i suoi dati”. Ecco, allora capiamo davvero che il problema va risolto anche a monte». Con una presa di coscienza, questo il senso, da parte degli adulti di quanto pericoloso possa essere il mondo dei social e quanto importante sia la sorveglianza costante dei propri figli.
Revenge porn. È un altro allarme. «C’è stato un aumento di reati – spiega Luisella Fenu – legato alla diffusione non consensuale di immagini pedopornografiche. Foto o filmati fatti magari dal fidanzatino con il consenso della persona ma divulgate senza autorizzazione. E una volta che le immagini finiscono sulla rete non le fermi più. Di base c’è una grande ingenuità nei ragazzini, si manda la foto osé all’amico convinti che resti nel suo cellulare e invece spesso non è così. Anche in questo caso bisogna intervenire e negli incontri nelle scuole cerchiamo di spiegare quali sono i pericoli».
Cyberbullismo e lockdown. «Con le scuole chiuse per via dell’emergenza sanitaria legata al covid – fa sapere la procuratrice – i casi di stalking e cyberbullismo sono rimasti a livelli standard, il numero è costante. In particolare ultimamente vengono creati gruppi su Whatsapp dove viene preso di mira qualcuno, solitamente una persona fragile. Viene modificata la sua foto, la vittima viene sbeffeggiata, ridicolizzata e a volte anche minacciata. Spesso sono i genitori che lo scoprono e ce lo segnalano. È un fenomeno che matura negli ambienti scolastici ed ecco perché di recente ho mandato una lettera ai dirigenti chiedendo di comunicare al nostro ufficio i casi di dispersione scolastica durante la dad (didattica a distanza ndc) o casi di uso distorto del computer da parte degli studenti durante le lezioni. Il monitoraggio è stato avviato e speriamo porti presto a dei risultati».
Codice rosso e Rete Dafne. La procuratrice Fenu, che nell’ufficio lavora a stretto contatto con la sostituta Roberta del Giudice, guardando i numeri commenta laconicamente: «Il lockdown non ha fermato niente, mi riferisco al penale e anche al civile», ossia l’ambito che include il disagio familiare e i maltrattamenti subiti da minori. Proprio qui, anzi, i numeri sono cresciuti. La Rete Dafne (che garantisce alle vittime di reato accoglienza, ascolto, informazione sui diritti, supporto psicologico e psichiatrico, orientamento, accompagnamento ai servizi e mediazione), che collabora con la Procura dei minori, ha ricevuto nel 2019 96 richieste, nel 2020 sono state 112, con un exploit da aprile ad agosto (72 contatti) in seguito all’attivazione della reperibilità. «Nel 2020 – aggiunge la Fenu – ci sono stati 40 codici rossi e 17 inserimenti urgenti in comunità di madri con bambini. Numeri aumentati rispetto al 2019 anche probabilmente a causa del lockdown». E della convivenza “forzata” nel nucleo familiare.