Nell’isola un universo di nuovi poveri
di Antonello Palmas
La pandemia ha dato una mazzata a chi ha lavori precari, redditi bassi o non ha risparmi. Molti sono donne e giovani
31 gennaio 2021
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SASSARI. Una terra con tanti problemi strutturali mai risolti, collocata nella fascia delle ultime d’Europa per Prodotto interno lordo (si ferma al 70% della media europea mentre quello nazionale è al 97%). La Sardegna è una regione anziana, con una povertà diffusa fatta di giovani che si appoggiano alle famiglie e alle pensioni dei genitori, ma che nonostante ciò stava dando qualche segnale di ripresa sul piano economico, nel 2019 e nell’avvio del 2020. E anche la percentuale di coloro che si erano rivolti alle Caritas per ottenere un aiuto erano calati in maniera più netta che altrove, effetto molto probabilmente dovuto all’introduzione del Reddito di cittadinanza e della Pensione di cittadinanza, di cui godono 50mila nuclei familiari, per un totale di circa 100mila persone, un sardo su 16.
Di tutto avrebbe avuto bisogno quest’isola tranne che di una emergenza sanitaria, alla quale è difficile reagire anche per realtà più avanzate economicamente, figuriamoci per una Sardegna che già annaspava. I dati complessivi sull’annus horribilis segnato dal Covid non sono stati ancora stilati, ma è già evidente che la pandemia ha allargato la fascia dei poveri. Se sino all’era pre-Covid si rivolgevano alle Caritas per lo più disoccupati (63,6%) e c’era un 8% di pensionati, ora viene segnalata in forte crescita la percentuale dei cosiddetti “working poor”, ovvero coloro che hanno un reddito da lavoro ma che non è sufficiente (erano l’11,2%).
Ciò che l’emergenza sanitaria ha fatto emergere è la crescita di un universo di povertà inedito, composto da tutti coloro che avevano lavori precari o stagionali e oggi si trovano costretti a chiedere aiuto, un tendenza che peraltro era già in atto soprattutto in un’isola colpita duro dalla crisi, ma che ora è esplosa in maniera con lo stop al turismo cui è legata gran parte dell’economia regionale. Così quelli che cominciavano ad avere problemi ora si trovano per la prima volta costretti ad affidarsi agli altri per sopravvivere. Donne e giovani le categorie più danneggiate.
Anche i dati nazionali non sono confortanti se è vero che, con un'incidenza della povertà assoluta del 7,7% sulla popolazione le conseguenze economiche delle misure per il contenimento hanno colpito un vasto contesto sociale, abbattendosi in particolare sulle categorie più vulnerabili, circa 5 milioni di lavoratori occasionali spesso non in regola, come denuncia il Crea. E secondo un report di Oxfam, «allo scoppio dell'emergenza circa 10 milioni di italiani più poveri, con un valore medio del risparmio non superiore a 400 euro, non avevano nessun cuscinetto finanziario per resistere autonomamente» e «poco più del 40% degli italiani era in condizioni di povertà finanziaria, ovvero senza risparmi accumulati sufficienti per vivere, in assenza di reddito o altre entrate, sopra la soglia di povertà relativa per oltre tre mesi». Fondamentale il contributo della rete capillare delle circa 10 mila strutture caritative che ha dovuto fronteggiare un aumento delle richieste di aiuto di circa il 40% in media, con picchi del 70% nelle regioni del Sud. La Nuova vuole raccontare il fenomeno della crescita delle povertà e comincia oggi con una serie di servizi sulla Sardegna che chiede aiuto.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Di tutto avrebbe avuto bisogno quest’isola tranne che di una emergenza sanitaria, alla quale è difficile reagire anche per realtà più avanzate economicamente, figuriamoci per una Sardegna che già annaspava. I dati complessivi sull’annus horribilis segnato dal Covid non sono stati ancora stilati, ma è già evidente che la pandemia ha allargato la fascia dei poveri. Se sino all’era pre-Covid si rivolgevano alle Caritas per lo più disoccupati (63,6%) e c’era un 8% di pensionati, ora viene segnalata in forte crescita la percentuale dei cosiddetti “working poor”, ovvero coloro che hanno un reddito da lavoro ma che non è sufficiente (erano l’11,2%).
Ciò che l’emergenza sanitaria ha fatto emergere è la crescita di un universo di povertà inedito, composto da tutti coloro che avevano lavori precari o stagionali e oggi si trovano costretti a chiedere aiuto, un tendenza che peraltro era già in atto soprattutto in un’isola colpita duro dalla crisi, ma che ora è esplosa in maniera con lo stop al turismo cui è legata gran parte dell’economia regionale. Così quelli che cominciavano ad avere problemi ora si trovano per la prima volta costretti ad affidarsi agli altri per sopravvivere. Donne e giovani le categorie più danneggiate.
Anche i dati nazionali non sono confortanti se è vero che, con un'incidenza della povertà assoluta del 7,7% sulla popolazione le conseguenze economiche delle misure per il contenimento hanno colpito un vasto contesto sociale, abbattendosi in particolare sulle categorie più vulnerabili, circa 5 milioni di lavoratori occasionali spesso non in regola, come denuncia il Crea. E secondo un report di Oxfam, «allo scoppio dell'emergenza circa 10 milioni di italiani più poveri, con un valore medio del risparmio non superiore a 400 euro, non avevano nessun cuscinetto finanziario per resistere autonomamente» e «poco più del 40% degli italiani era in condizioni di povertà finanziaria, ovvero senza risparmi accumulati sufficienti per vivere, in assenza di reddito o altre entrate, sopra la soglia di povertà relativa per oltre tre mesi». Fondamentale il contributo della rete capillare delle circa 10 mila strutture caritative che ha dovuto fronteggiare un aumento delle richieste di aiuto di circa il 40% in media, con picchi del 70% nelle regioni del Sud. La Nuova vuole raccontare il fenomeno della crescita delle povertà e comincia oggi con una serie di servizi sulla Sardegna che chiede aiuto.
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