La Nuova Sardegna

Troppe parole straniere: addio italiano

di Federico Pinna*

Camilleri, in un articolo de La Repubblica del 15 novembre 2012, scrisse che la nostra lingua sta scomparendo. A suo dire, quell’humus da cui l’italiano ha sempre tratto nutrimento non è più puro,...

13 maggio 2021
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Camilleri, in un articolo de La Repubblica del 15 novembre 2012, scrisse che la nostra lingua sta scomparendo. A suo dire, quell’humus da cui l’italiano ha sempre tratto nutrimento non è più puro, equilibrato, ma è influenzato e alimentato da sostanze esterne che stanno danneggiando la pianta e arriveranno a farla seccare e morire. Alcuni potrebbero pensare che Camilleri sia un autarchico, un conservatore, che considera ogni cosa proveniente dall’esterno come un male. Ma bisognerebbe anche solo ascoltare una conversazione per strada, specialmente se questa conversazione avviene tra due giovani, per capire come la nostra lingua si sia ormai fusa con altre lingue, specialmente l’inglese, e stia morendo. Ormai è diventato difficile anche solo fare un discorso senza l’utilizzo di parole provenienti o derivanti dall’inglese. Basti pensare anche solo ad alcune parole che in questo periodo, caratterizzato dal Covid-19, sentiamo ogni giorno: lockdown, smartworking, fake news, hub. Inoltre con la globalizzazione, i mass media e soprattutto con i social, l’influenza della lingua inglese ha raggiunto livelli impensabili. L’ambito in cui ho percepito maggiormente questa influenza è quello dei videogiochi, in cui l’italiano è praticamente inesistente. Come tradurre termini come bug, crash, spawn? Basta semplicemente italianizzarli in “buggare, crashare, spawnare”. Mentre la lingua inglese è in continua evoluzione, la lingua italiana è statica, e quando cambia si adegua alla terminologia anglosassone. Basti pensare all’enorme polemica che qualche anno fa si era creata con la proposta di aggiungere al vocabolario un nuovo termine: “petaloso” e alle ben minori proteste ad aggiungere la parola “cringe”. Memori della magniloquenza linguistica di Dante, Petrarca, Manzoni, abbiamo considerato la nostra lingua come un qualcosa di perfetto, di elevato e non modificabile. In realtà la lingua italiana non è mai stata perfetta: ha subito costantemente delle influenze dai dialetti, ma questo era un bene perché i dialetti erano la base dell’italiano e della nostra identità culturale. Ma nei tempi del fascismo i dialetti furono considerati un limite, qualcosa che andava contrastato, ma in realtà era ciò che costituiva la bellezza dell’italiano stesso. I dialetti andavano inglobati, in modo che la lingua italiana, che era relativamente giovane, potesse arricchirsi di tutti i termini antichi. L’utilizzo di termini stranieri nell’italiano è da considerarsi un vero problema? Credo proprio di sì, ma sembra non ci sia nessuna intenzione di risolverlo.

* Federico frequenta il Liceo Scientifico

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