La Nuova Sardegna

Andrea Romano: «Moby Prince, ora la verità: lo dobbiamo ai familiari»

di Alessandro Pirina
Andrea Romano: «Moby Prince, ora la verità: lo dobbiamo ai familiari»

Il presidente della commissione d’inchiesta: «Onorato? Lo riascolteremo» 

04 gennaio 2022
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SASSARI. Centoquaranta morti senza un responsabile. Quante volte è stato pensato, detto, scritto. La strage della Moby Prince resta uno dei grandi misteri d’Italia. O meglio di quell’Italia incapace di scovare le verità. A trentuno anni da quella terribile notte tra il 10 e l’11 aprile 1991 tocca a una nuova commissione parlamentare d’inchiesta provare a dare risposte ai familiari delle 140 vittime. Una commissione che si muoverà sul solco dell’ottimo lavoro svolto dalla precedente guidata dal senatore Silvio Lai nella passata legislatura. A presiederla è Andrea Romano, deputato del Pd, livornese. E dunque uno che la tragedia della Moby Prince, che proprio da Livorno era diretta a Olbia, l’ha vista da vicino.

Romano, il suo primo ricordo della strage?

«Ero all’estero, nei Paesi baltici, per motivi di studio. Un mio amico americano mi disse: “tu sei di Livorno, vero? Una nave ha preso fuoco e ci sono tanti morti”. Ricordo che ebbi molta paura per mio padre, che era un marittimo. Poi quando tornai a Livorno la vicenda era ancora molto presente. La tragedia, per quanto abbia coinvolto famiglie di tutta Italia, è stata sentita in particolare modo a Livorno e in Sardegna».

Perché è stata percepita come una tragedia di serie B?

«Questo è accaduto un po’ perché la politica non ci è mai entrata direttamente. Al contempo perché la vicenda della Moby ha rappresentato il fallimento delle istituzioni. E questo è uno dei motivi che sta alla base della commissione, il cui obiettivo è riconciliare le istituzioni con la memoria delle vittime. Paradossalmente questa tragedia ha chiamato in causa soprattutto la magistratura. Ricordo sempre le parole del presidente Mattarella dell’aprile scorso: “sulla Moby va fatta piena luce”. Il cui sottotitolo era: perché piena luce non è stata fatta dalla magistratura».

Da cittadino che idea si è fatto di come si sono svolte le indagini in questi 31 anni?

«Da cittadino e da parlamentare ormai posso dire che quelle verità giudiziarie non erano verità. Lo sappiamo dal lavoro della prima commissione d’inchiesta che ha smontato alcune tesi giudiziarie. Ma lo sappiamo dalle stesse parole di Mattarella e della ministra Cartabia che in qualche modo sono il sigillo che quelle verità non sono verità. Alla base di tutto credo ci sia stata una irresponsabile leggerezza, insieme alla tentazione di attribuire la responsabilità a chi non c’era più, al comandante Ugo Chessa e all’equipaggio. Questa irresponsabile tentazione si incrociava con l’incapacità tecnica di vedere le cose che oggi invece possiamo capire. Le registrazioni delle comunicazioni radio di quella notte furono trascritte solo in parte. Ora è cominciato il loro trasferimento digitale».

Ma lei ha una sua opinione sulle responsabilità?

«Se devo azzardare una ipotesi la mia percezione di cittadino è che non ci sia un unico responsabile, ma tanti. Sappiamo che i soccorsi non ci sono stati, sappiamo che l’Agip Abruzzo non poteva stare lì dove era ancorata, sappiamo - con un punto interrogativo - che nessuno fece tutto il necessario per mettere in salvo almeno qualche vita, sappiamo che quella notte non c’era la nebbia. Tanti elementi di quelle verità giudiziarie non ci sono più. Non c’è alcun intento di fare polemica, ma lo dice Mattarella, che è anche il presidente del Csm, la voce più autorevole. Ora è necessario proseguire il lavoro iniziato dalla precedente commissione».

Vi siete sentiti con Lai?

«Lo abbiamo audito per primo, anche per avere consigli di metodo, nella convinzione che la commissione abbia svolto un lavoro ottimo e concorde. Il fatto che la relazione finale sia stata votata all’unanimità è stato un grande segno. Il nostro obiettivo è quello di arrivare allo stesso risultato».

L’armatore Vincenzo Onorato, alla Nuova, ha detto che secondo lui sulla nave è esplosa una bomba: lo sentirete?

«La sua intervista fece molto rumore. Lo ascolteremo certamente, come altri. Non risentiremo tutti quelli già auditi, ma alcuni sì. E tra questi c’è certamente Onorato, ma anche Ciro Di Lauro, il nostromo della Moby Prince che al momento era in ferie, e Alessio Bertram, l’unico superstite della tragedia».

Ritiene attendibile l’ipotesi di Onorato?

«Non commento l’intervista di Onorato ma mi riservo di rivolgere a Onorato alcune domande. Allo stesso tempo l’ipotesi dell’esplosione è talmente importante che noi ci siamo affidati a due nuovi periti affinché indaghino in modo parallelo: una verrà effettuata utilizzando un tecnico segnalato dal ministero della Difesa, un’altra da un esperto a cui siamo arrivati autonomamente. I reperti della nave sono conservati nell’archivio del tribunale di Livorno e una parte è già stata acquisita dalla commissione grazie alla procura di Livorno. Una delle prime cose fatte con i vice presidenti Pittalis e Potenti è stata quella di andare a trovare il procuratore Ettore Squillace Greco, proprio per rimarcare che da parte nostra non c’è alcuna polemica ex post verso la magistratura».

Quali saranno i tempi di lavoro della commissione?

«I tempi sono legati alla durata della legislatura. Formalmente abbiamo tempo fino al febbraio 2023, se finisse prima avremmo la tagliola. Noi comunque abbiamo lavorato fin da subito con impegno e velocità. Abbiamo scelto di seguire un metodo di grande concretezza, senza inseguire le piste più fantasiose, per quanto legittime. E dunque punteremo su bobinone, foto satellitari, indagini sulla esplosione. Tra l’altro abbiamo affidato a una società di ingegneristica di Fincantieri, la Cetena, di fare una ricostruzione della dinamica della collisione sulla base dei dati di cui disponiamo. Contiamo di arrivare entro l’estate a formulare una o più ipotesi».

C’è un messaggio particolare che sente di mandare ai familiari delle 140 vittime?

«Negli anni in cui tutto sembrava silente hanno avuto la forza di resistere e combattere nonostante la delusione delle istituzioni. Dobbiamo a loro se il Parlamento si è svegliato. Noi abbiamo sempre sentito il loro forte sostegno. Anche in un Paese come il nostro, spesso dominato da pessimismo, cattivismo, loro non si sono mai arresi e ci hanno detto: andate avanti, avete la nostra fiducia. Questo è un bel messaggio di democrazia. Non so se riusciremo a raggiungere la verità, ma ci stiamo provando anche per riscattare le istituzioni democratiche dopo le delusioni di questi quasi 31 anni».



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