La Nuova Sardegna

Il conflitto rilancia le centrali a carbone

di Giuseppe Centore

Il premier Draghi alla Camera traccia scenari inquietanti. E così Fiume Santo e Portovesme ritornano a essere strategiche 

26 febbraio 2022
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CAGLIARI. La guerra in Ucraina irrompe sulle scelte di politica energetica e industriale, anche per la Sardegna. Le indiscrezioni della Nuova di ieri sono state confermate dal discorso del presidente del Consiglio ieri alle Camere. Draghi nel suo intervento dedicato alle ricadute economiche del conflitto, a lungo termine, visto che la crisi sarà «lunga e difficile da ricomporre», ha precisato che per affrontare una possibile crisi energetica «potrebbe essere necessaria la riapertura delle centrali a carbone, per colmare eventuali mancanze nell'immediato». Nella parte finale del suo intervento lo stesso Draghi ha aggiunto che «per il futuro, la crisi ci obbliga a prestare maggiore attenzione ai rischi geopolitici che pesano sulla nostra politica energetica, e a ridurre la vulnerabilità delle nostre forniture. Ho parlato del gas, ma la risposta più valida nel lungo periodo sta nel procedere spediti, come stiamo facendo, nella direzione di un maggiore sviluppo delle fonti rinnovabili, anche e soprattutto con una maggiore semplificazione delle procedure per l’installazione degli impianti. Ma il gas resta essenziale come combustibile di transizione. Dobbiamo rafforzare il corridoio sud, migliorare la nostra capacità di rigassificazione e aumentare la produzione nazionale a scapito delle importazioni. Perché il gas prodotto nel proprio Paese è più gestibile e può essere meno caro». Fonti vicine al dossier confermano che nelle prossime ore tutte le aziende nazionali strategiche del settore energetico riceveranno direttive sui passi da compiere per ridurre la dipendenza dall’estero. Ma tenere accese le centrali a carbone oltre il 2025 di per sè non basta a risolvere i problemi, anche perchè l’Italia importa 5 milioni di tonnellate di carbone all’anno dalla Russia, 3,5 dagli Usa, 1,8 dalla Colombia e 1 dall’Indonesia. E la dipendenza dal carbone russo, come il gas, che oggi arriva da Mosca per il 45 per cento del totale, va ridotta. Ecco perchè se i produttori di energia da carbone sardi, Ep a Fiumesanto e Enel a Portovesme stanno mandando i loro impianti a manetta proprio per far consumare meno gas al sistema nazionale, un domani servirà il metano, dagli Usa, dal Qatar e dall’Africa per ridurre l’impatto del gas dagli Urali. Più Gnl, più rinnovabili con tempi autorizzativi ridotti, per un mix di fonti energetiche il più possibile “made in Italy”. Se non fosse che il termine richiama periodi foschi e di cattivo auspicio, si potrebbe dire che il governo vuol promuovere nel settore energetico una politica autarchica, tipica di tempi di guerra, come quelli che purtroppo si stanno vivendo. Per la Sardegna saranno in campo tutte le opzioni, tutti i progetti, tutte le opportunità per avere certezze nelle forniture, anche modificando se necessario i processi autorizzativi per le rinnovabili, oggi ancora lenti e farraginosi.

@gcentore. ©RIPRODUZIONE RISERVATA

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