La Nuova Sardegna

Emergenza nelle campagne

Parla il super esperto israeliano: «Per sconfiggere le cavallette servono tecniche militari»

Giuseppe Centore
Parla il super esperto israeliano: «Per sconfiggere le cavallette servono tecniche militari»

Lo zoologo è a capo della task force anti locuste del suo Paese. «Occorrono un piano, un metodo e soprattutto una sola testa che decida»

27 giugno 2022
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Cagliari Per sconfiggere le cavallette occorrono tre strumenti: organizzazione, controllo e dialogo. L’esperienza israeliana sarebbe un toccasana per le condizioni delle campagne del centro-Sardegna, ma a condizione di applicarne i metodi e la filosofia, vincenti non solo in Israele ma anche in Etiopia, dove il problema delle cavallette raggiunge una dimensione ben diversa che da noi o nel deserto del Negev. Lì gli sciami fanno la differenza tra la vita e la morte. Qui, o in Israele possono fare danni, possono attaccare e distruggere le colture, ma non cancellano il cibo per decine di migliaia di persone.

Yoav Motro è zoologo presso il ministero dell’agricoltura dello Stato di Israele. Non è solo un funzionario governativo, ma è molto, molto di più: è il capo della lotta contro le locuste e responsabile unico della campagna di contrasto. È al vertice di una piramide. Motro è in Sardegna all’interno delle attività dell’ambasciata d’Israele in Italia per rafforzare la cooperazione tra Israele e l’isola. In questa intervista esclusiva alla Nuova Sardegna, Motro descrive come la sua task force opera.

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Come operate quando avete notizie dell’arrivo degli sciami e come sapete anticipare la possibile presenza di cavallette?
«Studiamo i venti e prepariamo un calendario dei periodi dell’anno più a rischio. Non abbiamo un ampio margine d’azione. Le cavallette sono in grado di superare l’Africa e arrivare da noi a un ritmo di 100 chilometri al giorno. In cinque giorni passiamo dalla situazione di normalità all’allarme massimo».

E come vi comportate?
«La scelta del governo è stata quella di nominare un responsabile unico, con poteri assoluti di gestione dell’emergenza e di scelta degli interventi nel terreno. Io ho a disposizione dieci aerei, una cinquantina di elicotteri, decine di auto, tutto il personale che mi serve e tutto il budget che occorre. Chiamo chi voglio per fare quello che ritengo necessario. Tutti, ma proprio tutti gli agricoltori israeliani hanno il mio numero o quello dei miei più stretti collaboratori. Alla prima chiamata ci precipitiamo sul posto e installiamo un centro di comando e controllo avanzato dove vengono prese tutte le decisioni. Non abbiamo gente in ufficio che programma e altri che eseguono i protocolli, ma chi decide è in campagna e ci sta sino alla fine del problema. Nel 2013, quando le cavallette colpirono ampie fasce del mio paese rimasi fuori dal 3 marzo al 6 giugno; dormimmo nei luoghi dove c’era il problema, non mi mossi nemmeno un istante dalla prima linea: prendere decisioni immediate avendo tutti gli strumenti necessari a scegliere per il meglio fa la differenza tra disfatta o vittoria».

Le piantagioni fertili nei kibbutz al confine con la Giordania o lungo il confine con l’Egitto non sono però come la piana di Ottana. Qui forse questo metodo può risultare in salita...
«E perchè mai? Nel mio paese l’area interessata alle cavallette può arrivare a coprire anche 150mila ettari: aree brulle, altre coltivate, collinari, montuose, abbandonate o produttive. Le cavallette non si preoccupano del terreno: attaccano e basta. C’è però una profonda differenza a vostro favore nel confronto tra le due zone: da noi gli sciami sono di importazione, se così si può dire; qui sono nate in loco, al massimo qualche sciame può essere sospinto dai venti che da sud arrivano a voi. Sono abbastanza certo, pur non avendo studiato ancora a fondo il problema sardo, che ad aprile del prossimo anno arriveranno i primi sciami, insignificanti, dall’Africa. Allora vanno fermati».

Dunque: scatta l’allarme vi chiamano direttamente, arrivate in massa con uomini e mezzi: e poi?
«Poi seguiamo gli sciami, vediamo dove vanno e quando la sera e la notte si fermano per riposarsi, li attacchiamo. Di giorno non si possono sconfiggere, quando cala il buio sì. Ma non è che la mattina e il pomeriggio ci riposiamo: abbiamo una nutrita flotta di droni che seguono, e si danno anche il cambio, ogni sciame, lo monitorano, individuano il punto dove esso è concentrato e quali aree sono a rischio. Con i droni buttiamo la deltametrina dove serve, altrimenti spariamo getti d’aria, per staccarle ad esempio dalle piante di datteri giganti Medjool».

E cosa dicono gli agricoltori e gli allevatori quando arrivate?
«Premetto: a loro non si possono dare ordini, perchè li eseguono solo una volta; bisogna convincerli, parlarci, condividere progetti, interventi e strategie; il dialogo con gli allevatori è fondamentale. Senza di questo non si può vincere alcuna battaglia contro le cavallette, perchè viene meno la fiducia. Sono loro le vere sentinelle del nostro sistema. Per questo decine di migliaia di allevatori e agricoltori hanno questo numero di cellulare (e mostra il suo telefono, ndr) a cui rispondo a qualunque ora del giorno. Sanno che io vado da loro e rimango sul posto sino a che il problema non è risolto. Mi sporco le scarpe come dite voi. Però con gli anni abbiamo conquistato l’apprezzamento e l’attenzione di chi vive in campagna. Sanno che non diciamo frasi senza senso, se dico loro: isoliamo una area, potete entrare e uscire da quella zona solo da questa strada, loro lo fanno, anche a costo di sacrifici. Il ministero dell’agricoltura è a capo della campagna anticavallette, ma non ristora dai danni nessuno».

In quanto tempo venite a capo dell’emergenza?
«Non c’è un tempo predefinito. Noi stiamo sul posto, presidiando le aree colpite in forze sino a quando il problema cessa. Possono essere due settimane, o tre mesi. Non lo sappiamo. Siamo elastici anche sulle azioni di contrasto. La deltametrina (che non fa male all’avifauna o al bestiame), può servire, come servono alcune specie di uccelli migratori, che seguono le cavallette, oppure insetti antagonisti, che possono essere riprodotti in laboratorio e depositati poi nelle zone a rischio: su questa strategia rimane il dubbio della sua efficacia finale. E se gli insetti antagonisti non mangiano le cavallette perchè non hanno più fame, o ne mangiamo in parte? In ogni caso tutti gli strumenti sono efficaci. L’importante è mantenere ferme le tre componenti fondamentali della nostra strategia.

E quali sarebbero?
«Mappare con una precisione assoluta (anche i satelliti aiutano) gli sciami, testare i terreni per capire come lavorandoli fermano le capacità riproduttive (non basta zollare la terra) e controllare al centimetro le aree verdi e i possibili punti di attacco delle cavallette. La nostra flotta di droni monitora, misura, caratterizza ogni sciame e poi lo colpisce con la medicina, ma in maniera molto precisa, senza sprecare tempo e farmaco. Tutto questo però si può realizzare solo con una presenza continua, sulle 24 ore, del personale e con un uso condiviso dei mezzi aerei. Se mi chiedete dei costi dico che i nostri sono alla fin fine limitati. L’ultima campagna del 2013 è costata in tutto poco meno di tre milioni di euro, compreso il costo del farmaco antagonista».

Alla fine cosa direbbe ai diversi enti sardi che dovrebbero nei prossimi giorni decidere quale strategia migliore per combattere le cavallette? I tecnici locali hanno difficoltà a entrare nei terreni . C’è diffidenza.
«Serve un metodo e soprattutto una testa, una sola, che decida. Però non mi preoccuperei di queste incomprensioni. In Yemen, in Etiopia è possibile che gli agricoltori non capiscano, che gli allevatori ci vedano come stregoni. Qui no. Tutti sanno, tutti conoscono il problema e sono interessati a risolverlo».

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