Sa die, la festa dell’identità
L'intervento del Presidente della regione nella giornata diventata un simbolo
Una festa, una celebrazione che convenzionalmente ha una precisa data storica, ma che forse non è ancora stata affrontata per davvero nelle sue implicazioni più profonde. Il 28 aprile 1794 è infatti un simbolo, tra i tanti, che ricorda uno dei molti momenti in cui i sardi hanno preso coscienza di sé, e hanno deciso di autodeterminarsi per gestire direttamente i nodi epocali del proprio percorso storico, culturale, sociale ed economico.
Anche in un’ottica di rigenerazione civile di una nazione costantemente resistente e pervicacemente ancorata nel sentimento di ciascuno. L’auto-riconoscimento dei sardi è avvenuto in due forme: come sviluppo autopropulsivo, e come reazione a tutte le tirannie. Alla prima appartiene tutta la gloriosa storia dell’epopea nuragica e prenuragica, di cui oggi conserviamo le ancestrali e mitiche testimonianze dei Giganti, degli Shardana, delle domus de Janas e di una straordinaria architettura uniformemente diffusa su tutto il territorio isolano: di questa realtà, in particolare, fu massimo interprete il professor Giovanni Lilliu, quando comprese che quelle gloriose testimonianze erano collegate da un ininterrotto filo d’orbace a tutta la storia sarda, attualità compresa.
La lotta contro la tirannia, contro tutte le angherie e i soprusi, rappresenta invece, un altro capitolo significativo che tuttavia non è riconducibile esclusivamente alla temperie ed ai fermenti del secolo delle rivoluzioni, ma conosce tanti momenti esemplari della storia isolana che meritano di far parte del patrimonio universale e condiviso della festa. Poco importa se si tratti di fatti storici caratterizzati da sconfitte: ogni battaglia per la dignità dei sardi ha un plusvalore simbolico capace di ricordarci che la condizione di vivere eterodiretti, con uno sviluppo ottriato, calato cioè dall’alto, non potrà mai soddisfare le più intime aspirazioni di un popolo che abbia piena consapevolezza di sé. Il senso di quelle battaglie è quindi basato sull’idea che la libertà è una conquista corale, collettiva e non una generosa concessione.
Momenti quali l’esperienza di Paskedda Zau e del ritorno a Su connottu; la nascita del PSd’Az, la rivolta di Pratobello; o le lotte per l’ufficializzazione della lingua sarda, hanno tutti in comune l’antica aspirazione dei sardi di poter essere protagonisti attivi del proprio destno, di riconquistare quella che ancora una volta Lilliu definì in un bell’articolo su Le Monde la “Frontiera Paradiso”. Certo, come tutte le feste nazionali anche Sa Die rientra nella vasta famiglia internazionale della riscoperta delle radici in funzione del presente. Si tratta però di attualizzare le battaglie per l’autodeterminazione nei nuovi contesti, perché se il contenuto concreto delle lotte per la libertà è storicamente determinato, è invece sempre attuale il senso che Tuveri aveva sintetizzato nella formula Questione Sarda: il diritto dei sardi a governarsi da sé, in sinergia con altri ordinamenti in funzione di uno sviluppo rispondente davvero ai bisogni e alle aspirazioni della Sardegna.
Oggi la vera indipendenza non coincide più con l’acquisizione necessaria della statualità ottocentesca, e semmai è più compatibile con un regime federale e nell’ambito di una maggiore e più effettiva integrazione europea fondata non solo sugli stati plurinazionali, ma precipuamente su tutte le realtà regionali. In particolare, oggi possiamo ritrovare il senso di Sa Die nella necessaria lotta su frontiere e trincee nuove e contemporanee. Resiste, purtroppo una visione neo-feudale, che si pone in una linea di continuità sul fronte delle tante, troppe, servitù che ben conosciamo: dallo sfruttamento nel settore estrattivo e del legname che abbiamo pagato con il disboscamento ottocentesco dei quattro quinti del nostro patrimonio boschivo fino alle servitù industriali, militari e, da ultimo energetiche, che con il loro repentino e disordinato proliferare compromettono significativamente l’identità paesaggistica dell’Isola senza che se ne percepisca un apprezzabile ristoro per i sardi.
Né possiamo dimenticare la vulnerazione del diritto dei sardi alla mobilità e alla coesione territoriale, perpetrato dalle grigie burocrazie dell’Unione Europea che continuano a mortificare l’affermazione di una vera e soddisfacente continuità territoriale. Ecco perché Sa Die con una politica dirigistica della continuità territoriale che mortifica la dignità della Sardegna, o le vocazioni centralistiche dei vari governi italiani. Ecco perché Sa Die impone anche una riflessione sul tema spinoso delle riforme istituzionali: la lunga storia della identità isolana deve infatti concretarsi nell’acquisizione di tutti i poteri necessari per un migliore coordinamento delle politiche pubbliche della Sardegna con la Repubblica italiana e con le istituzioni europee.
Le storie esemplari implicite in Sa Die ci chiamano all’azione: non basta nobilitare il passato, conoscerlo, diffonderlo, perché con la festa del 28 aprile tutti i sardi sono chiamati anche a dare voce e anima a quel simbolo di liberazione nazionale, a mobilitare le coscienze nel segno dell’unità della Sardegna, a trovare le ragioni della nostra identità nell’apertura alla complessità del mondo contemporaneo e nella difesa intransigente dei tanti valori perenni messi da secoli a repentaglio.
Il sardismo si pone come bandiera simbolica della Sardegna, e sotto questi profili rappresenta la grande alternativa alle culture globaliste orientate alla distruzione delle identità, e la sua proposta federalista resta uno dei lasciti più moderni e innovativi del panorama politico e culturale europeo. Alle sfide che celebriamo con Sa Die non si risponde infatti con la chiusura difensiva, ma con le grandi ragioni storiche della Sardegna. Perché non basta contrastare i moderni invasori, ma occorre anche prospettare una soluzione più rispondente ai bisogni eterni dei sardi. I quali, memori di una storia di lunga durata, diffidano ormai di tutte le soluzioni calate sopra la loro testa.
È tempo allora di dar vita a un processo di moderna autodeterminazione, che implica il diritto dei sardi a un nuovo protagonismo. Gli eventi celebrati indicano ancora oggi la via dell’autocoscienza, e lasciano però in eredità la costruzione degli strumenti indispensabili perché si passi dall’idea astratta dei sardi come popolo diviso, all’idea più forte dei sardi che sentono di appartenere a una identità stratificata di lunga durata e ne vogliono difendere e promuovere i valori permanenti. Il senso di questa giornata è in fondo anche quello di un momento nel quale l’intera nazione sarda è al cospetto di se stessa e della propria lunga storia e si interroga sul futuro declinando nel presente le proprie radici identitarie, per definire il proprio “ Dasein” il proprio “esserci, qui ed oggi, in una società globale e complessa alla quale si propone –ora come allora- con domande nuove. La nostra sfida è conquistare quelle risposte in grado di tracciare il percorso verso la felicità di tutto il popolo sardo.
Viva la Sardegna! Bona die de sa Sardigna a totus! Fortza paris!