La Nuova Sardegna

Una città e le sue storie – Sassari

A spasso per le strade della città in un tour fuori dall’ordinario

di Dario Budroni
A spasso per le strade della città in un tour fuori dall’ordinario

L’associazione Quiteria racconta le storie dei personaggi meno conosciuti

20 novembre 2023
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Sassari Le pareti scrostate delle case sono ancora impregnate di vita, di amore e di morte. Ma servono fiuto, immaginazione e buone letture per riuscire a inserirsi nei ritmi e nelle dinamiche quotidiane di una città che quasi non esiste più. E così, passo dopo passo, si scopre che proprio lì, in piazza Tola, dove la sera si espande un mare di bicchieri, piatti e tavolini, neanche duecento anni fa passava un carro di legno dove tre persone accatastavano senza pietà i corpi di uomini e donne morti di colera. Oppure che poco lontano da lì, in piazza Azuni, al posto delle finestre di un antico palazzo nobiliare, spiccava un particolare arco di trionfo che adesso si trova invece esposto nelle sale di un museo fiorentino. Ma viene anche fuori che al posto di piazza Sauro, oggi un caratteristico angolo fatto di fiori e aperitivi, un tempo si elevava il palazzo di un uomo citato nella Divina Commedia e con tanto di tesoro a quanto pare ben nascosto nei bui e umidi sotterranei della sua dimora. Il centro storico di Sassari appare insomma come un grande e inesauribile archivio di vite vissute. Ed è proprio per liberare il passato dal fondo del dimenticatoio che l’associazione culturale Quiteria – documenti e libri di Enrico Costa alla mano – si tuffa ormai da tempo all’interno del perimetro delle vecchie mura per realizzare nuove ricerche e soprattutto per raccontare ai sassaresi, attraverso eventi e tour dedicati, la storia della loro città. O meglio, per rivelare le più affascinanti e a volte tragiche microstorie di Sassari: cioè vicende, fatti e aneddoti dimenticati che hanno come protagonisti uomini e donne che, in un modo o nell’altro, la loro piccola parte nella storia l’hanno comunque avuta.

La giovane del castello I tour di Quiteria, associazione formata da Maria Rita Piras, Laura Lanza, Fabrizio Vanali e Cristina Marche, non seguono i classici itinerari delle chiese e dei monumenti. Fanno invece tappa nei luoghi dove è accaduto un qualcosa di curioso, di particolare, di bello e molto spesso anche di brutto. E quindi non si può certo non partire da piazza Castello, dove più di 500 anni fa morì una giovane donna chiamata appunto Quiteria. Era la figlia di Leonardo Alagon: ultimo marchese di Oristano e ultimo baluardo della Sardegna indipendente che nel 1478 si scontrò con gli aragonesi nella battaglia di Macomer. Alagon perse la guerra e i suoi figli vennero quindi catturati e portati in città dal nobile sassarese Angelo Marongio, che combatteva con ruoli di comando per gli aragonesi. Quiteria venne imprigionata nel castello di Sassari, poi abbattuto dopo l’unità d’Italia, e da lì non uscì più. «È un bel personaggio, quello di Quiteria – commenta Maria Rita Piras –. Una eroina inconsapevole che divenne poi anche la protagonista di un romanzo firmato da Pompeo Calvia. È un po’ un simbolo di quella storia di Sassari che noi vorremmo salvare, così come avremmo voluto salvare la povera Quiteria dal vecchio castello».

Una finestra a Firenze La storia, però, non si ferma certo qui. Basta scendere in piazza Azuni e fermarsi davanti al palazzo accanto a Zara per imbattersi in un altro capitolo della battaglia di Macomer. Al posto di due finestre, fino a oltre un secolo fa, qui si poteva infatti ammirare la finestra Marongio. Era una grande cornice scolpita. Una sorta di arco trionfo realizzato per celebrare la vittoria dello stesso Angelo Marongio su Alagon. «Fu poi venduta dal proprietario di allora a un collezionista fiorentino – dice Piras –. Adesso si trova a Firenze, nel museo Bardini. È molto importante, perché in quella finestra è rappresentato il corteo con i trofei della vittoria di Marongio. È un documento straordinario: sono addirittura rappresentate le antiche mura di Sassari con le torri».

L’anticlericale Piazza Azuni custodisce anche un’altra storia quasi sconosciuta. È quella di Antonico Satta detto il tribuno. Anticlericale, non di rado si scagliava contro i preti in generale e contro l’arcivescovo in particolare. Pasquale Tola, conservatore, non lo poteva vedere. Alla fine, nel 1848, Satta venne arrestato e imprigionato anche lui nel castello. «Ma appena la voce dell’arresto cominciò a circolare – racconta Laura Lanza –, i sassaresi scesero per strada, assediarono il castello e bloccarono le uscite della città, per evitare il trasferimento di Satta nel carcere di Alghero. Antonico era molto amato dalla popolazione e alla fine fu liberato. Venne portato dai cittadini qui in piazza Azuni, dove si trovava la vecchia Santa Caterina, chiesa che non esiste più, e all’improvviso, dalla scalinata del tempio, iniziò a intonare il Te Deum. La folla lo seguì nel canto e tutta la città di allora sentì l’eco da brividi dell’inno religioso. Quello di Satta, forse, fu un modo per infastidire l’autorità religiosa dell’arcivescovo».

Il poeta squattrinato E poi c’è Sebastiano Satta, grande poeta, scrittore e avvocato. Nuorese, per un periodo, a fine Ottocento, si trasferì a Sassari per frequentare l’università. Dal punto di vista economico non se la passava bene e così finì per indebitarsi con Angelo Tomè, il ricco commerciante e filantropo che viveva nel palazzo che ancora oggi porta il nome della sua famiglia, dove da piazza Azuni comincia corso Vittorio Emanuele. «Satta acquistava gli abiti a credito da Tomè e tra i due esisteva una specie di rapporto di amore e timore» racconta Piras. Una situazione che Satta descrisse con una certa ironia in alcuni suoi curiosi versi: quando Tomè mi vede trema da capo a pie’, quando io vedo Tomè tremo da capo a piè. «È un aneddoto simpatico – prosegue Maria Rita Piras –. Uno tremava perché era effettivamente indebitato, l’altro invece perché aveva paura che il giovane avvocato chiedesse ancora credito per l’acquisto di nuovi abiti».

Il patriota decapitato Si gira l’angolo e si finisce poi dritti in piazza Tola, dove nei secoli è successo davvero di tutto. Lo ha sperimentato il rivoluzionario Francesco Cillocco, cagliaritano, prima notaio del Regno di Sardegna e poi ribelle ai Savoia sull’onda della rivoluzione francese. Vittima della repressione monarchica, fuggì a Parigi e poi organizzò un tentativo di rivolta e sbarcò in Gallura. Alla fine, nel 1802, venne tradito, catturato e imprigionato a Sassari nel carcere di San Leonardo, che si trovava tra le attuali vie Battisti e al Carmine, accanto a piazza Tola. Qui venne torturato e condannato a morte. E il giorno che uscì di prigione per raggiungere le forche, nella zona del Carmine vecchio, dove c’è l’attuale via Paoli, il duca dell’Asinara si affacciò da una finestra di palazzo d’Usini, attuale biblioteca comunale, e lo insultò. «Durante il tragitto fu ancora torturato con delle pinze arroventate – ricorda Piras –. Lui affrontò tutto con grande coraggio. Alla fine venne impiccato, decapitato e la sua testa, insieme a quelle dei compagni, infilzate nelle picche. Aveva 33 anni».

Morti di colera E sempre in piazza Tola, ma nella zona all’angolo con via Lamarmora, è ambientato un ricordo dello scrittore Enrico Costa. «Nel 1855 Sassari venne colpita da una devastante epidemia di colera – racconta Laura Lanza –. Morirono migliaia di persone. E Costa, allora ragazzino, vide questa scena: tre persone, che sembrano aver perso ogni tipo di umanità, che caricano su un carro i cadaveri abbandonati fuori dalle abitazioni, come si fa oggi con i rifiuti. A colpire Costa anche l’immagine di un uomo che, uscito da un portone, tiene per la gamba il cadavere di una donna anziana. Poi la deride e la fa ballare come un fantoccio. La morte era diventata normalità. Sono immagini quasi manzoniane».

Tesoro nascosto E poi c’è piazza Nazario Sauro, lungo il corso. Qui il protagonista è don Michele Zanche. Potente notabile del giudicato di Torres ai tempi di Adelasia, Dante Alighieri lo spedì all’Inferno tra i barattieri. Zanche, che ne combinò di tutti i colori, aveva una casa proprio al posto dell’attuale e graziosa piazzetta. «Era ricchissimo e fece una fine terribile, ucciso e fatto a pezzi dal cognato – dice Piras –. Enrico Costa assistette alla demolizione dell’abitazione e pare che nei sotterranei si trovasse il tesoro di Zanche. Si parlava anche di una mappa e, in due occasioni, partirono anche le ricerche. Del tesoro, però, nessuna traccia».

L’architetto innamorato Poco lontano, al corso, c’è Palazzo di città. Lo progettò nel 1826 l’architetto piemontese Giuseppe Cominotti. Lo stesso che, clamorosamente, venne sorpreso, insieme a un muratore, a sfregiare la facciata del palazzo accanto. Era la casa del marchese di Monte Muros. «Un atto vandalico da parte di un uomo rispettato – dice Lanza –. Un fatto strano, dunque. Alla base di tutto ci sarebbe l’innamoramento da parte di Cominotti della fill’e anima del marchese, già sposata. Il nobile contrastò fortemente quell’amore e così Cominotti gli rovinò il palazzo».

La faida di Sassari E sempre sul corso c’è la chiesa di Sant’Andrea, dove andò in scena l’ultimo capitolo della lunga e sanguinosa faida che funestò la Sassari di metà Ottocento. Da una parte i Saba e dall’altra i Maccioccu. Anche qui, alla base di tutto, un amore contrastato che scatenò una infinita serie di omicidi. Ed era carnevale quando, sotto i portici di fronte alla chiesa, si nascosero i sicari che fecero fuoco su due fratelli Saba. Il primo cadde subito, l’altro, ferito, scappò ferito verso San Sisto e morì lì. «Ma nell’agguato venne ucciso anche un bambino di 8 anni che si trovava per strada a guardare le maschere» spiega Laura Lanza.

Il pianoforte dell’amore Il corso, però, custodisce anche storie di amore. Come quella dello scrittore e artista Pompeo Calvia, che la notte si affacciava ad ascoltare il suono, che arrivava dal palazzo di fronte, del pianoforte di Cristina Manca. «Prima di innamorarsi di lei, si innamorò del suo pianoforte – spiega Lanza –. Quando poi andarono a vivere insieme, lei portò dietro il ritratto di un suo fidanzato morto giovane. Lo tenevano in camera da letto e Calvia ci scherzava un po’ su. Erano molto innamorati. Ne parlava spesso Mario Siotto, loro nipote, anche lui un bel personaggio scomparso pochi anni fa».

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