Non solo mare: all’orizzonte la città-natura
L’architetto Lidia Decandia indica nuovi scenari: «Ritrovare il legame tra l’uomo e gli ambienti di vita»
Una città non può mai essere pensata come un fatto a sé stante, ma essa vive grazie al rapporto che stabilisce con il suo territorio e alle relazioni che intreccia con il mondo. Comprendere Olbia e immaginarne il suo destino significa in primo luogo pensarla all’interno delle dinamiche che l’hanno in questo senso generata e dei processi all’interno dei quali è inserita. Non ci sarebbe la città che oggi conosciamo, infatti, se negli anni Sessanta a livello planetario non ci sarebbe stata una vera e propria ristrutturazione socio-spaziale, corrispondente a quel passaggio che ha portato dalla società industriale a quella del consumo e che ha determinato quella che alcuni autori definiscono quarta rivoluzione urbana. È qui che nasce l’invenzione del turismo e della vacanza. In quegli anni, infatti, mentre l’economia industriale raggiungeva un punto critico, i grandi capitali cominciano a capire che, attraverso l’uso o delle possibilità di iperstimolazione simbolica offerte dai nuovi mezzi di comunicazione, si sarebbero potuti trarre profitti non più solo dalla produzione di manufatti e oggetti, ma soprattutto dall’inattività, dal non lavoro. È proprio in quest’ambito, infatti, che si creano le premesse perché alcuni territori, prima emarginati o remoti, possano diventare, grazie a un processo di reinterpretazione e ricodifica delle loro stesse peculiarità storico-ambientali, materiali preziosi, parti integranti della produzione post-industriale e della speculazione finanziaria, capace di supportare la continua agglomerazione del capitale, nelle stesse grandi città mondiali. Anziché continuare ad aprire solo fabbriche attorno alle città i capitali cominciano a colonizzare porzioni di territorio: li scollano dalle società locali, privandoli del loro valore d’uso, li riconfigurano per far sì che essi possano diventare sfondi destoricizzati da utilizzare come matrici di nuovi insediamenti d’invenzione destinati alla vacanza di un uomo urbano che saltella tra diverse dimensioni; ma soprattutto li riconnettono fisicamente a quel mondo condiviso che il nuovo processo di riorganizzazione della produzione e del consumo, del lavoro e del capitale stava andando a riconfigurare, dando forma a uno strano amalgama urbano a geometria variabile che ridisegna l’universo.
Fra questi territori c’è anche un lembo di Gallura: quel “Monte di mola” che diventerà Costa Smeralda. I nuovi esponenti del capitale finanziario intuiscono, proprio in quegli anni, che quel lembo di costa, segnato dai muri a secco e dalla rarefatta presenza degli stazzi, quel carattere di marginalità, di vuoto, di solitudine, quel mare, se inseriti all’interno di un nuovo sistema di relazioni e ricodificati attraverso un processo di risignificazione e di riterritorializzazione, si sarebbero potuti trasformare nello scenario perfetto di una vacanza eccezionale. E in quanto tali avrebbero potuto garantire fonti di immenso profitto: oro. La creazione di questa particolare città delle vacanze, non prodotta dalle relazioni degli uomini con i propri ambienti di vita, ma disegnata dalle mani di sapienti architetti con una particolare attenzione al rapporto con il paesaggio, assume le sembianze di un simulacro pensato in uno stile neosardo totalmente artificiale. Un simulacro, completamente scollato dal territorio e dalla vita reale ma inserito all’interno di una rete di flussi globali, che interconnettono diversi luoghi, territori e scale in un unico inedito mondo urbano che abbraccia l’universo. È nell’intreccio di questa matassa di relazioni che Olbia comincia la sua ascesa, diventando il trait-d’union tra quel lembo di costa e il mondo.
Proprio per rispondere a questo nuovo ruolo in quegli stessi anni, infatti, viene ristrutturato il porto e create nuove linee di traghetti con diversi scali nazionali; ma soprattutto, dopo una prima riattivazione, grazie al concorso dello stesso Consorzio Costa Smeralda, dell’aereoporto Vena Fiorita nel 1963, viene fondata, ad opera dell’Aga Khan, la compagnia aerea Alisarda con lo scopo di mettere in collegamento con voli di linea la Sardegna con l’Italia e con il mondo. Già nel 1964 nei mesi estivi esistevano ben due o tre voli giornalieri, nel mese di agosto, per Nizza, Marsiglia, Cannes, Parigi, Genova, Milano, Roma, Ajaccio e Bastia. Parallelamente viene infatti realizzata la strada litoranea Olbia-Palau che, nel giro di pochi anni, riduce da otto ore a quaranta minuti il tempo necessario per raggiungere la Costa Smeralda da Olbia. Il gioco è fatto. Questo repentino processo di modernizzazione, generato da una intensificazione delle interconnessioni e delle interdipendenze globali e da un generale miglioramento dei sistemi infrastrutturali, che ha in Olbia il perno centrale di riferimento, modificagli assetti e le gerarchie territoriali di tutto il sistema insediativo gallurese. La fondazione della città del turismo e della vacanza, nell’attrarre capitali e investimenti, genera nuovi mondi di impresa. Quelle coste inospitali, sino a quel momento difficili da raggiungere, cominciano a popolarsi di villaggi che occupano, intasandoli talvolta, i golfi e le insenature; si riproducono alberghi e lottizzazioni; si rafforzano i nuclei preesistenti.
Prende forma una sorta di città lineare costiera, che lascia liberi pochi lembi di territorio, producendo un altissimo consumo di suolo. Olbia in particolare, che alla fine dell’Ottocento era un piccolo nucleo di poco più di tremila abitanti e che solo nella prima metà del Novecento era cominciata a emergere come modesto centro di scambi, si trasforma in pochi decenni in una delle più dinamiche realtà regionali. La città in poco più di 60 anni passa da 18 mila abitanti a quasi 63 mila, triplicando ampiamente la propria popolazione, attraendo diversi i flussi migratori: quelli proveniente dai centri della Gallura interna, dalle aree del Monteacuto e del Nuorese, insieme a quelli provenienti da aree esterne al contesto isolano, a cui si aggiunge una importante componente extracomunitaria che già nel 2011 aveva raggiunto il 7% della popolazione. In questo senso la città assume i contorni di una vero e proprio centro di frontiera capace di accogliere le diverse provenienze. La città si trasforma in pochi decenni in una delle più dinamiche realtà non solo regionali, ma italiane. In pochi anni il centro si afferma come un’importante realtà produttiva che si specializza soprattutto nel settore del turismo: la creazione della zona industriale in cui vanno a collocarsi industrie prevalentemente legate al campo delle costruzioni, il potenziamento del porto, la costruzione del nuovo aeroporto, diventato uno dei più internazionali d’Italia, e la realizzazione di nuove infrastrutture trasformano potentemente il volto e la struttura della città che diventa una vera e propria porta di accesso all’isola. Una porta che negli ultimi decenni accentua sempre di più la sua qualificazione turistica: mentre diminuisce la produzione industriale aumentano, infatti, gli addetti nel settore delle costruzioni; si accrescono non solo i comparti alberghieri e della ristorazione, ma anche quelli della produzione cinematografica, delle attività finanziarie e assicurative e soprattutto quelli legati alla contabilità, alla direzione aziendale o alla consulenza gestionale.
L’incremento esponenziale del settore delle costruzioni genera – in un circolo vizioso che lega l’economia al consumo del suolo – un aumento esponenziale delle superfici costruite. Basti pensare che a Olbia già nel 2011, il suolo impermeabilizzato era quasi la metà di quello naturale. La città si dota di servizi: scuole, centri commerciali, importanti ospedali, come il Mater e centri di ricerca internazionali, alcune sedi universitarie che diventano punto di riferimento per la Gallura e per tutta la Sardegna. Questo spostamento di attenzione dai territori dell’interno verso la costa, dove si concentrano gli investimenti e la localizzazione dei servizi, determina, parallelamente all’ascesa di Olbia e dei diversi centri costieri, un generalizzato spopolamento delle aree interne della Gallura. Ma non solo. L’intensificazione delle interconnessioni e delle interdipendenze globali e le economie generate dal turismo modificano profondamente le relazioni intessute dagli uomini con i propri ambienti di vita. Se in passato, infatti, i diversi nuclei che caratterizzavano l’armatura del telaio insediativo gallurese, vivevano in stratta correlazione con la campagna, perché da essa traevano la propria base di sussistenza, a partire da questo momento la nascita di nuove attività e l’inserimento di questa realtà all’interno di flussi economici e culturali, che scavalcano la dimensione locale, determina un abbandono generalizzato degli stazzi delle campagne. È la fine di un mondo. Se la polarizzazione di molti servizi e delle stesse attività economiche nel polo olbiese crea un effetto centripeto nei confronti della città, tuttavia il netto miglioramento dei sistemi di viabilità, realizzato in questi ultimi decenni, contribuisce a generare un uso sempre più allargato del territorio gallurese. Un territorio che continua ancorarsi a una policentrica struttura insediativa: una rete di paesi che, seppur caratterizzati da fenomeni di spopolamento e di invecchiamento della popolazione, continuano a mantenere un ruolo importante e a rappresentare nell’organizzazione territoriale elementi di forte identificazione territoriale.
Se in passato, però le condizioni geografiche, cui si legava il pessimo stato della viabilità e una quasi totale dipendenza dell’economia dalle proprie basi territoriali, facevano si che i paesi della Gallura interna costituissero realtà culturali antropologicamente determinate e riconoscibili, fortemente ancorata al proprio ambiente di vita, oggi questi centri costituiscono i poli interconnessi di una inedita realtà insediativa, di cui Olbia rappresenta il più importante centro di riferimento. In maniera sempre più diffusa si incomincia a vivere, infatti, tra più luoghi: si abita in un paese d’inverno, d’estate nella casa sul mare; ci si sposta a Olbia per curarsi, per la scuola, gli acquisti e il divertimento, come dimostra la localizzazione degli ospedali, delle scuole, dei centri commerciali e dei parchi di divertimento.
Da un modello d'uso scarsamente gerarchizzato, imperniato su un complesso e minuto sistema di nuclei insediativi e di stazzi sparsi nelle campagne, si è passati ad un sistema fortemente “striato”. Una sorta di territorio “infeltrito” in cui Olbia attrae, come un magnete, le polveri sparse sul territorio, lasciando, nelle aree interne, buchi di silenzio che si stagliano sullo sfondo di una struttura insediativa policentrica, che continua, tuttavia, seppur in maniera fragile, a costituire l’armatura di una sbilanciata città territorio tutta da comprendere e decodificare, in cui natura e cultura, città e campagna, mondi locali e dinamiche globali, non sono più facilmente districabili e scindibili. È proprio a questa strana città-territorio, che si delinea alle sue spalle, ma di cui Olbia costituisce parte integrante, che occorre rivolgere lo sguardo per immaginare un inedito futuro. Molti segnali ci dicono che questi territori interni svuotati dalla città delle vacanze, in cui la natura sembra ancora dominare sulla vita dell’uomo, stanno ricominciando ad acquisire significati nuovi e importanti. Queste aree, proprio per le qualità ecologiche di cui sono portatrici, per le sopravvivenze che contengono, per il serbatoio di buio e di silenzio che offrono, possono diventare, infatti, materiali preziosi per immaginare una nuova forma allargata di urbanità in cui poter sperimentare altri modelli di sviluppo capaci di dare spazio non solo ai flussi mediatizzati e alle interconnessioni globali, ma anche e soprattutto alle dimensioni più profonde dell’umano.
La diffusione di nuovi stili dell’abitare che ricercano un rapporto più complesso con il mondo dei viventi, la nascita di nuove attività produttive legate al vino, al mangiare sano, l’emergere di nuove centralità legate alla storia, alla spiritualità, all’arte, e alla cultura, la riscoperta dei cammini lenti (vedi Atlante delle traformazioni. Alta Gallura www.atlantealtagallura.com), ci raccontano di un rinnovato amore che si sta sviluppando tra costa e interno. Proprio rivolgendo le spalle alle valli fluviali silenziose, alla Montagna madre del Limbara, che Olbia dovrà, anziché farsi risucchiare solo dal rumore e dalle relazioni che la connettono all’economia mondo, ripensare se stessa, non più solo con uno sguardo rivolto al mare, ma come polo di una città più ampia che ritrova radici e nuove connessioni con quel territorio “denso di natura e di storia”, come direbbe professor Maciocco, da cui gran parte dei suoi stessi abitanti provengono. Olbia potrebbe diventare la porta di accesso di una città-natura formata dall’accostarsi di diverse tessere spaziali, di pieni e di vuoti, di addensamenti e di pause, di adagi e di veloci, di luoghi deserti e di nodi a forte densità in cui, in un rinnovato senso di coappartenenza fra uomo e natura, anche il silenzio potrebbe essere finalmente ascoltato.
*Architetto
Chi è Lidia Decandia Gallurese autentica, originaria di Calangianus, Lidia Decandia è professore ordinario all’Università di Sassari, dipartimento di Architettura, Design e Urbanistica di Alghero. Nel 2008 ha fondato Matrica, laboratorio di fermentazione urbana, ed è membro del collegio del dottorato di Ingegneria dell’architettura e dell’urbanistica all’Università Sapienza di Roma. Svolge attività didattica e di ricerca, molto attiva nella produzione saggistica. I concetti di città-natura e città-territorio sono ricorrenti nella sua visione urbanistica e paesaggistica, così come è ricorrente la sua osservazione critica sulla deriva commerciale e turistica che ha interessato la Gallura dagli anni Sessanta a oggi. In un recente seminario di architettura e urbanistica svolto tra Tempio e Calangianus, Lidia Decandia ha argomentato il concetto del “riabitare il territorio”, riflettendo sull’esperienza della civiltà degli stazzi nell’Alta Gallura, cosa erano e cosa sono diventati. Dove per “riabitare” non si intende certamente la creazione di una nuova Costa Smeralda diffusa in un più vasto territorio. Cioè un luogo di esclusione e non certo di comunità. La Gallura degli stazzi ma anche quella dell’urbanizzazione olbiese resta per lei un luogo ideale per studiare le trasformazioni del territorio, il suo divenire nel tempo e nell’anima. La bibliografia di riferimento: Decandia L., Lutzoni L., “La strada che parla. Dispositivi per ripensare il futuro delle aree interne in una nuova dimensione urbana” (Franco Angeli, Milano 2016); Decandia L., Cannaos C., Lutzoni L., “I territori marginali e la quarta rivoluzione urbana. Il caso della Gallura” (Guerini associati, Milano 2017); Decandia L., “ Territori in trasformazione, Il caso dell’Alta Gallura” (Donzelli, Roma 2022). “Atlante delle trasformazioni. Alta Gallura” ( www.atlantealtagallura.com).