La Nuova Sardegna

Chiesa

Nuovo appello dei fedeli ai vescovi: celebrare le messe in lingua sarda

di Mario Girau
Nuovo appello dei fedeli ai vescovi: celebrare le messe in lingua sarda

La proposta sarà discussa dalla Conferenza episcopale in programma a Oristano

11 dicembre 2023
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Sassari Quest’anno costa poco il “regalo” di Natale chiesto dai fedeli sardi ai loro vescovi: reiterare alla Cei la richiesta di “nulla osta” alla celebrazione in limba di 10 messe, opportunamente tradotte dal messale in lingua latina. Piccolo valore economico - la tassa di una raccomandata A-R - ma di grande significato simbolico: consentire alla gente di elevare a Dio, anche in campidanese e logudorese, la preghiera più alta e solenne, quella della liturgia eucaristica. La proposta di reiterazione sarà esaminata e discussa domani mattina, martedì 12, durante la riunione della Conferenza Episcopale Sarda, l’ultima dell’anno, in programma a Oristano sotto la presidenza del vescovo di Nuoro e Lanusei, Antonello Mura.
Il primo tentativo, fatto lo scorso gennaio, è andato male. Sembra per un gigantesco equivoco. Mentre l’episcopato sardo chiedeva l’imprimatur per un numero limitato di messe, la Commissione per la Liturgia, presieduta da monsignor Gian Marco Busca (58 anni) vescovo di Mantova, ha applicato la regola generale: prima traduzione completa della Bibbia in limba e solo successivamente il via libera della Cei.
Uno stop puramente burocratico. La Commissione episcopale per la liturgia non è un organismo tecnico - nessuno degli 8 componenti (4 vescovi ordinari, 1 emerito, 1 ausiliare e 2 monaci benedettini) ha competenze sardo linguistiche: 3 commissari sono bresciani, 2 siciliani, 1 calabrese, 1 piemontese, 1 marchigiano - ma amministrativo: verifica se le carte sono in regola e poi trasmette tutto alla Santa Sede per la “recognitio” finale, cioè una verifica generale della pratica.
I garanti della regolarità della traduzione e della corrispondenza dei testi in lingua sarda con la forma, la sostanza e sacralità del “sacrificio eucaristico” sono i vescovi sardi. I presuli isolani hanno chiesto alla Cei, nelle more della traduzione integrale della Bibbia (73 libri), di poter officiare in campidanese e logudorese 10 messe: ordinaria, per la società civile, cristologica (Natale ed Epifania), mariana, patrono martire, santo patrono e patrono apostolo, messa per il matrimonio e per i funerali. Complessivamente 15 letture dell’Antico Testamento, 25 salmi e 30 brani del Nuovo Testamento tradotti in sardo da alcuni linguisti laici (soprattutto della “Fondazione Sardinia”), testi revisionati personalmente da monsignor Sebastiano Sanguinetti. In pratica si è formato un piccolo “lezionario” sardo - un elenco ufficiale della Sacre Scritture per le celebrazioni religiose - garantito dai “maestri della fede” della Chiesa isolana, cioè i vescovi, che oggi dovrebbero decidere di chiedere alla commissione -Busca di approvare “ad experimentum”.
Non mancano le traduzioni, parziali o totali della Bibbia in sardo: tra cui 13 fascicoli pubblicati tra il 1858 e il 1861 sotto il patrocinio del principe Luigi Luciano Bonaparte. Nella biblioteca della Facoltà Teologica della Sardegna si trovano 9 versioni in sardo del Vecchio Testamento e una trentina del Nuovo.
Sulla questione “messa in limba” recentemente Gianni Loy giuslavorista e cultore di lingua sarda ha scritto una lettera alla Ces e per conoscenza al Papa.

«Quanto sia marginale il problema lessicale lo testimonia ogni giorno Papa Francesco. Quando è possibile, partecipa alla celebrazione del sacramento nelle lingue proprie delle comunità che lo ospitano. E se il Papa - dice Loy - offre questo esempio di semplicità, è davvero ammissibile che ai sardi continui ad essere impedito di celebrare il Sacrifico nella lingua dei loro padri e delle madri?». 

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