La Nuova Sardegna

Medicina

Esodo all’estero per diventare dottori: «Amiamo l’isola, ma non torneremo»

di Serena Lullia
Esodo all’estero per diventare dottori: «Amiamo l’isola, ma non torneremo»

Falliti più volte i test di ingresso in Medicina si sono iscritti in Romania e Bulgaria

30 marzo 2024
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Sassari In valigia il sogno del camice bianco e nel cuore la terra di Sardegna. Anna, Alessia e Nicolò sono solo alcuni degli studenti sardi che studiano all’estero per diventare medici. Un esodo obbligato. Il test di ingresso alla facoltà di Medicina li ha messi alla porta. Ma passione e determinazione sono fuochi che non si spengono facilmente. Sostenuti dalle famiglie hanno deciso di andare via. In quell’Europa dell’est dove si studia in inglese, ma si deve imparare anche il romeno e il bulgaro. Dove si frequenta ogni giorno in piccoli gruppi e si fanno verifiche continue fino all’esame finale. E dove gli aspiranti dottori già dal secondo anno fanno pratica sui corpi umani e dal terzo entrano in ospedale.

Il tempo è prezioso Anna Fares, olbiese, ha 22 anni. Alle spalle due test di Medicina falliti. «Avevo ripiegato su Biologia pensando di finire la triennale qualora non fossi riuscita a superare il secondo test. Più passavano i mesi più mi rendevo conto che non era la mia strada e non mi volevo accontentare solo per l’ostacolo del test. Ho messo in pausa gli studi di Biologia e ho ricominciato a prepararmi per il test». Il contatto con un’amica che già studiava in Bulgaria e le ricerche sulla rete riaprono la speranza in Anna. «Mi affascinava il metodo dell’università bulgara, che la pratica cominciasse dal secondo anno, sui cadaveri e in ospedale. Cose tangibili, concrete. Avrei potuto anche aspettare, continuare a provare il test in Sardegna, magari l’avrei passato gli anni successivi, ma mi sembrava una perdita di tempo. Ne ho parlato con i miei genitori, ho fatto il test a Pleven a settembre 2021 e mi sono iscritta».

Alessia Ranellucci, di Bosa, ha una storia simile. 23 anni, due test falliti e Scienze biologiche come slot di attesa. «Ma non era la mia strada – racconta –. Ho così cominciato a prendere in considerazione le opzione Romania e Bulgaria. Il supporto dei miei genitori è stato indispensabile, sono stati i primi a farmi riflettere sulla scelta di tentare ancora il test di ingresso senza certezza di entrare. E ovviamente il loro sostegno economico è stato fondamentale. Le rette universitarie sono molto alte. All’inizio non ero così entusiasta della Bulgaria. Quando si parla dei paesi dell’Europa dell’est si ha sempre un atteggiamento diffidente. Oggi posso dire che mi sbagliavo». Nicolò Marongiu, 22 anni, olbiese, ha saltato il test in Italia a piè pari. Con un approccio pragmatico, individuato cosa volesse fare nella vita ha puntato dritto all’obiettivo. «Dopo il diploma non sapevo bene cosa fare. Mi sarebbe piaciuto andare all’estero per imparare bene l’inglese, ma causa Covid non era possibile. Cosi ho passato un anno a pensare. Avevo diverse idee: fisioterapia, odontoiatra o medicina. Nell’estate 2021 un amico mi ha parlato bene della Romania. La cosa che mi ha convinto è che si fa molta pratica da subito, a differenza dell’Italia. Ho contattato l’agenzia, hanno preparato i documenti, sono partito a fare il test alla facoltà di Timisoara e sono entrato».

Paesi e culture diverse Quasi istantaneo il colpo di fulmine di Nicolò per la città romena da 250mila abitanti, più complicato l’approccio di Alessia e Anna con la bulgara Pleven, 130mila abitanti e 130 chilometri da Sofia. «Oggi mi sono ambientata – commenta Anna –. All’università ho un bel gruppo di amici e colleghi. Ho imparato ad apprezzare la città anche se inizialmente ho dovuto affrontare non poche difficoltà. La Bulgaria è un paese povero, con tanta storia e una cultura per molti aspetti lontana dalla nostra. A partire dalla lingua. Qui solo i giovani parlano inglese, gli altri bulgaro. Non è una città molto universitaria, non ci sono tanti posti per i ragazzi. Nonostante tutto mi trovo bene. Ho apprezzato subito le brevi distanze. Al centro tutto si raggiunge a piedi. In più c’è una rete abbastanza efficiente di mezzi pubblici per muoversi dentro la città e spostarsi al di fuori». Nelle parole di Nicolò l’intesa fantastica con Timisoara. «Mi trovo davvero bene. La città è sicura, si può tornare a casa tardi senza problemi. Non manca nulla: centri commerciali grandi, come anche le palestre, ultra moderne. Non è stato difficile adattarmi. Affidandomi poi a una agenzia italiana con me sono partiti tantissimi ragazzi di tutta Italia, molti sardi e si sono create subito delle amicizie che fanno sentire meno la mancanza di casa. L’agenzia resta poi un punto di riferimento». Approccio turbolento alla Bulgaria per Alessia. «All’inizio un trauma. Ma mi ha aiutato a crescere. Vengo da un posto piccolo, ho sempre vissuto la realtà di paese dove più o meno tutti si conoscono. Mi sono ritrovata in una città in cui nessuno parlava la mia lingua, pochi l’inglese. Facendo amicizie e imparando a capire come funzionano le cose mi sono adattata. Pleven è grande, ma al centro ti muovi senza problemi a piedi. Però c’è molta povertà. Che c’è anche da noi in Italia, ma io non avevo mai visto bambini rovistare nei rifiuti. La facoltà invece è molto bella e organizzata. Si studia tanto e si fa tanta pratica, che per un futuro medico è fondamentale».

L’isola nel cuore ma... Anna, Alessia e Nicolò la Sardegna se la portano nel cuore. «Mi manca sempre perché è casa, c’è la famiglia – dice Nicolò –. Ma grazie alle amicizie anche coi ragazzi sardi con cui organizziamo pranzi e cene, la mancanza di casa si sente meno. Non so ancora se tornerò in Sardegna. Di sicuro mi piacerebbe fare una esperienza all’estero, magari in Svizzera, Francia o Germania. Chissà poi deciderò di tornare in Sardegna. Nel posto che amo e vicino alla famiglia». Alessia soffre moltissimi il distacco «dalla mia famiglia e dalla mia terra. Sono venuta in Bulgaria per necessità, non perché volessi scappare dall’isola. All’inizio ero certissima di rientrare dopo il secondo anno. Ma dopo aver visto le differenze tra l’università italiana e quella estera non ne sono più cosi convinta. La mia è una laurea internazionale. I medici che escono dalla mia facoltà sono molto richiesti nel Regno Unito e negli Usa. Ovvio che il cuore mi dice di tornare a casa, ma a livello professionale vorrei formarmi nel miglior modo possibile e non è possibile in Italia. Vedremo con il tempo».

Anna ha le idee chiare. «L’isola mi manca sempre. Il mare, il clima mite, il sole, la nostra natura, il cibo, anche il vento che qui non c’è quasi mai e fa freddo. D’inverno si arriva a -12. Per la Specialistica non tornerò in Sardegna e in Italia. Per le retribuzione, tra le più basse in Europa, i test di acceso e pochi posti. Penso di specializzarmi in altre città europee. Speriamo che nel frattempo il sistema sanitario in Italia migliori».
 

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