«Sì alle rinnovabili per fermare la desertificazione dell’isola»
Il fisico climatologo: «Vicini a un punto di non ritorno, dobbiamo agire ora Indispensabile minimizzare l’impatto sull’ambiente di eolico e fotovoltaico»
Dati scientifici e centinaia di studi dimostrano in maniera inequivocabile che il riscaldamento globale è in atto ed è dovuto per la maggior parte alle emissioni di gas ad effetto serra da attività umane. Questa è la conclusione dell’ultimo rapporto del Pannello Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici (IPCC) , uscito nel 2021 e basato sui contributi di centinaia dei più autorevoli scienziati che studiano il problema dei cambiamenti climatici. La temperatura globale della superficie della Terra, degli oceani e dell’atmosfera sta aumentando a una velocità senza precedenti almeno negli ultimi diecimila anni, e in particolare il 2023 e la prima metà del 2024 sono stati i periodi di gran lunga più caldi nel record storico.
Il riscaldamento globale sta poi causando una serie di cambiamenti nelle caratteristiche del clima, i “cambiamenti climatici”, che stanno già influenzando le nostre vite e le attività economiche. Fra i tanti effetti del cambiamento climatico, basta citare l’aumento della frequenza, lunghezza e intensità delle ondate di calore, come quelle dell’ultima estate, la più calda del record storico; l’aumento di frequenza e intensità di eventi meteorologici estremi, le cosiddette bombe d’acqua che ormai flagellano continuamente anche il territorio italiano; la fusione dei ghiacciai, i nostri principali serbatoi di acqua dolce; l’innalzamento del livello del mare, con conseguente deterioramento delle zone costiere; l’aumento di incendi di larga scala; la perdita di biodiversità.
In questo preoccupante quadro, il Mediterraneo emerge come una delle zone più sensibili al riscaldamento globale, una cosiddetta “zona calda”. Le temperature sul territorio italiano sono aumentate con una velocità più che doppia rispetto alla media globale, e le precipitazioni medie nell’area Mediterranea sono in diminuzione. Se gli andamenti attuali dovessero continuare o addirittura accelerare nelle prossime decadi, i nostri modelli climatici ci dicono che l’area del Mediterraneo centro-meridionale, e quindi anche l’Italia centro-meridionale e insulare, sarebbero a forte rischio di inaridimento se non addirittura di desertificazione. Basti pensare alla siccità in corso ormai da molti mesi in Sicilia e in altre regioni meridionali. D’altro canto, soprattutto le zone dell’Italia centro-settentrionale e Alpina continueranno a essere sempre più soggette a eventi meteo estremi di crescente intensità.
Che cosa si può e si deve fare per affrontare il problema dei cambiamenti climatici? Da un lato bisogna gestire questa nuova realtà con delle politiche di cosiddetto adattamento, per esempio una migliore pianificazione e gestione delle risorse idriche, un bene che sarà sempre più scarso e prezioso, dell’agricoltura, delle infrastrutture e della sanità pubblica, che sarà sotto pressioni sempre maggiori. La cosa più importante, però, è che bisognerà evitare che il riscaldamento globale superi quella soglia di pericolo oltre la quale si innescherebbero processi di non ritorno che porterebbero a un completo sconvolgimento del sistema climatico attuale, come la fusione dei ghiacci della Groenlandia o il collasso della circolazione oceanica profonda che connette tutti gli oceani del globo. Questo metterebbe seriamente a repentaglio lo sviluppo sostenibile della società come oggi la conosciamo. I nostri figli e nipoti vivrebbero in un pianeta diverso e più povero di quello in cui ora viviamo.
La soglia di pericolo è stata individuata nell’accordo di Parigi del 2015 in 2 gradi di riscaldamento globale rispetto alle temperature pre-industriali, quindi meno di un grado rispetto alle temperature attuali, visto che il clima globale si è già riscaldato di circa 1,25 gradi negli ultimi 120 anni, cosa mai accaduta negli ultimi millenni. Non siamo quindi lontani da questa soglia, e quindi bisogna agire subito ed efficacemente implementando la cosiddetta Transizione Ecologica. Questo cosa implica?
I principali gas serra responsabili del riscaldamento globale sono l’anidride carbonica emessa dall’uso di combustibili fossili, cioè petrolio, gas e carbone, e il metano emesso dagli allevamenti intensivi e dall’estrazione del gas dal sottosuolo. Questi gas trattengono parte della radiazione infrarossa emessa dalla superficie terrestre, e in questo modo riscaldano la superficie stessa e l’atmosfera, proprio come i vetri di una serra. Contenere il riscaldamento globale e i cambiamenti climatici a esso associati significa ridurre le emissioni di anidride carbonica e metano, e l’accordo di Parigi dà delle precise indicazioni riguardo questo obiettivo: riduzione delle emissioni nette di gas serra essenzialmente a zero entro il 2050, e inizio di questa riduzione a partire da ora. Questo perché l’anidride carbonica ha un tempo di residenza in atmosfera di ordine 100 anni, e quindi si accumula continuamente. Più aspettiamo a ridurre le emissioni, più anidride carbonica si accumulerà in atmosfera e più difficile sarà contenere il riscaldamento globale al di sotto della soglia di pericolo.
Un passo importante è la riduzione degli sprechi energetici, oggi a circa 60% dell’energia prodotta, e una maggiore elettrificazione delle infrastrutture, trasporti e attività economiche, dato che i motori elettrici sono molto più efficienti di quelli a combustione interna. Questo però deve essere fatto insieme ad una rapida decarbonizzazione del sistema energetico, cioè la sostituzione dei combustibili fossili con tecnologie alternative. Fra queste, le uniche disponibili in tempi brevi sono le rinnovabili, in primis fotovoltaico ed eolico. Queste tecnologie sono già collaudate e stanno velocemente diventando più efficienti ed economiche, al punto da essere già competitive, se non più competitive, dell’uso dei combustibili fossili. Il nucleare al momento non è un’opzione adatta a combattere il riscaldamento globale per i suoi costi, i problemi ancora esistenti con lo smaltimento delle scorie radioattive e il rischio di incidenti e attentati, e soprattutto perché occorre troppo tempo per identificare siti ottimali, costruire, e attivare una centrale nucleare.
Basti pensare che ci sono voluti circa 22 anni per costruire la centrale di Olkiluoto in Finlandia, dal momento dell’approvazione della centrale alla prima produzione di elettricità. Non abbiamo questo tempo.
Uno dei vantaggi delle fonti rinnovabili è che sono altamente diffuse, e quindi non generano dipendenza dalla grande produzione centralizzata di energia. L’energia del sole e del vento è disponibile a tutti, se si sa come convogliarla e metterla in uso, e questo richiede un importante coinvolgimento delle comunità locali. Basti pensare alle comunità energetiche che stanno proliferando in tutta Europa. Non solo queste comunità sono autosufficienti dal punto di vista energetico, ma spesso producono energia in eccesso che può essere immessa in rete, con un guadagno da parte della comunità stessa.
Una delle problematiche spesso citate sull’uso delle rinnovabili è il potenziale impatto sul territorio, ma questo può essere minimizzato da un oculato posizionamento degli impianti eolici e fotovoltaici. Un tipico esempio è l’installazione di pannelli fotovoltaici ai lati delle grandi autostrade o recuperando aree degradate, ma se ne potrebbero citare molti altri. Costruire impianti fotovoltaici ed eolici senza deturpare il paesaggio si può, ma anche questo richiede un fondamentale coinvolgimento delle comunità locali.
Dobbiamo renderci conto che la transizione ecologica, e in particolare la decarbonizzazione del sistema energetico, non è più una scelta, ma una necessità, se vogliamo assicurare un futuro sostenibile e di qualità alle prossime generazioni.
Questa transizione non è un sacrificio o un passo indietro, ma una opportunità di sviluppo, lavoro e progresso in sintonia con la salvaguardia del pianeta che ci sostiene. L’Italia, e in particolare le regioni centro-meridionali e insulari, sono in una posizione ottimale per usufruire di questa opportunità, perché sono ricche delle due risorse fondamentali: sole e vento. Con una pianificazione attenta e moderna, che si basi sull’uso di tecnologie avanzate, coinvolga le comunità locali in maniera informata e rispetti la ricchezza paesaggistica e culturale del territorio, queste regioni potrebbero diventare dei modelli a livello Europeo e internazionale di una corretta implementazione della transizione ecologica.
*Filippo Giorgi è climatologo e insegna al centro internazionale di fisica teorica di Trieste. Ha fatto parte dal 2002 al 2008, unico scienziato italiano, dell’organo esecutivo dell’IPCC, Comitato Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici, organizzazione vincitrice del Premio Nobel per la pace 2007 insieme ad Al Gore