La Nuova Sardegna

Riciclaggio

Gioielli e borse di lusso per ripulire 500mila euro di “nero”

di Federico Lazzotti
Gioielli e borse di lusso per ripulire 500mila euro di “nero”

Fermato un 46enne che si spostava tra l’isola e Prato con i soldi nel serbatoio dell’auto

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Sassari Per un anno e mezzo, seguendo la Bmw Serie 2 che una volta a settimana faceva la spola tra l’isola e la Toscana – partenza da Cagliari, imbarco ad Olbia verso Livorno per poi raggiungere la provincia di Prato, capitale italiana della comunità cinese –, gli investigatori si sono domandati come mai quell’auto si fermasse così tanto spesso nelle varie stazione di servizio per fare il pieno.

La risposta è arrivata qualche settimana fa quando finanzieri e agenti delle Dogane hanno fermato la macchina appena sbarcata al porto di Livorno dopo l’ennesimo viaggio: il settimo registrato nell’ultimo anno. Aprendo la botola accanto al sedile posteriore dal quale si accede al serbatoio hanno trovato un tesoro di soldi in contanti: 510mila euro divisi in una ventina di buste di plastica sottovuoto.

Secondo la Procura di Livorno, si tratta dell’ennesima prova del sistema di riciclaggio di denaro proveniente dall’evasione fiscale commessa da una serie di aziende cinesi che lavorano nel circondario della zona di Cagliari, in particolare in via del Fangario dove ha sede una delle attività al centro dell’inchiesta. Un “modello di lavatrice orientale” che secondo gli inquirenti si compone di quattro fasi perfettamente organizzate: raccolta del denaro nell’isola una volta a settimana, trasporto dei soldi contanti a Prato, conversione della valuta in Yuan su carte prepagate cinesi e infine l’acquisto per conto di terzi di oggetti preziosi o, meglio, “beni rifugio”, principalmente orologi come Rolex, Patek Philippe, Audemars Piguet. Ma anche gioielli e borse esclusive.

Il modello «È riproducibile ovunque, è il sistema con il quale gli imprenditori cinesi lavano il denaro per poi farlo rientrare pulito nel mercato», è l’ipotesi degli investigatori che dal novembre di due anni fa hanno effettuato pedinamenti, installato microspie su diverse auto e telecamere nei luoghi di incontro dove vengono scambiati i soldi, cercato di seguire i flussi di denaro, ascoltato migliaia di ore di conversazioni e setacciato il primo telefono sequestrato durante un controllo causale. Si tratta di quello intestato alla figura chiave di questa inchiesta, Yongsheng Yang, cittadino cinese di 46 anni residente a Cagliari. C’era lui a bordo dell’Audi Q5 fermata dai finanzieri il 15 novembre di due anni fa che ha portato al primo sequestro: 246.750 euro divisi sempre in buste e nascosti in parte in una borsa frigo e in parte nel vano della ruota di scorta. «In ogni singolo involucro era stato messo del peperoncino, con ogni evidenza al fine di eludere eventuali controlli da parte dei cani». Ma c’è di più. Perché oltre all’acquisto di preziosi (la spesa accertata fino ad oggi è di mezzo milione di euro in un negozio di Cagliari), il quarantaseienne, attraverso l’App di messaggistica WeChat «manteneva i contatti con i clienti interessati al riciclaggio e i soggetti preposti al cambio della valuta da euro a Yuan, provvedendo a emettere i relativi ordini di cambio e comunicare gli estremi dei rapporti bancari su cui effettuare le operazioni di cambio».

I riscontri I risultati della prima fase dell’indagine – sei le persone finite nel registro degli indagati con l’accusa di riciclaggio in concorso – sono sintetizzati nel decreto di perquisizione notificato anche agli avvocati degli indagati nei giorni scorsi. All’interno, oltre al sistema di riciclaggio, si dà conto anche di quanto il “cassiere” – così viene definito – tenesse per sé quando effettuava l’operazione di conversione degli “euro sporchi” in “Yaun puliti”. Dalle chat, infatti emerge come lo stesso richieda per ogni 10mila euro convertiti in valuta cinese la somma di 350 euro. Ma per capire l’ordine di grandezza del presunto riciclaggio di denaro è bene sottolineare due riscontri effettuati dalla finanza. Il primo emerge sempre dal telefono del quarantaseienne. In una delle chat con un connazionale che ha un’azienda accanto a quella del cassiere sono stati ricostruiti tre anni di trasferimento di denaro per una cifra che supera i tre milioni di euro. Sempre sulla scorta dei file contenuti nel telefono del principale indagato, la polizia giudiziaria ha provveduto a elaborare un prospetto delle transazioni documentate dalle immagini scambiate nelle varie chat. Solo nel 2021 risultano documentate 590 transazioni per un valore di oltre 50 milioni di Yuan, pari a circa 7,2 milioni di euro.

Cosa manca Gli investigatori, coordinati dal pubblico Niccolò Volpe hanno ricostruito buona parte del sistema. Ma manca l’ultima tessera del puzzle. Ecco perché nei giorni scorsi sono state effettuate diverse perquisizioni in Sardegna e in Toscana, sia nelle aziende sia nelle abitazioni degli indagati sequestrando soldi, preziosi e diverso materiale informatico. L’obiettivo è capire come e attraverso quali figure «vengono effettuate le operazioni finanziarie necessarie alla conversione delle somme ricevute in Yuan, mendiate la ricarica di carte di credito o altri strumenti di pagamento cinesi». Anche perché ad oggi non è chiaro che cosa accade dopo l’acquisto di un orologio: se questo è una modalità alternativa o parallela di riciclaggio o se l’acquisto avvenga come parte finale della complessiva operazione con denaro già oggetto di ripulitura. E qui si apre anche la questione della competenza dell’indagine.

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