Lo stub positivo allo sbarco e le bugie per crearsi un alibi
La banda dei sardi, i controlli su Franco Piras e Francesco Palmas: tracce di polvere da sparo sul 40enne di Jerzu
Sassari Poche ore dopo l’assalto ai portavalori, i carabinieri li avevano individuati nel capannone in Val di Cecina di proprietà di Antonio Moni, l’agricoltore di origini sarde che secondo la Procura ha aiutato la banda sarda nelle fasi preparatorie e in quelle successive alla rapina. Franco Piras (46 anni, di Bari Sardo) e Francesco Palmas (40 anni, di Jerzu), dormivano vestiti. Ai carabinieri che chiedevano conto della loro presenza, dissero che si trovavano in Toscana perché la mattina dopo sarebbero dovuti andare a Bastia Umbra, in provincia di Perugia, per acquistare un mezzo agricolo da riportare in Sardegna. Era la notte tra il 28 e il 29 marzo. I carabinieri, arrivati al capannone grazie al segnale gps di uno dei veicoli utilizzati per l’assalto, decisero di chiedere un piano urgente di intercettazioni quando i due persero il bigliettino che riportava numeri di telefono. A colpirli fu anche un’altra stranezza: nei dintorni del casolare non c’era traccia del furgone, né di un’auto, come se Piras e Palmas fossero arrivati a piedi o accompagnati da qualcuno. Poche ore dopo il blitz dei carabinieri, Piras e Palmas ripartirono. A bordo del furgone Fiat Ducato con il quale erano sbarcati in Toscana qualche giorno prima e che miracolosamente ricomparve. Ma non andarono ad acquistare il mezzo agricolo, per una ragione molto semplice: lo avevano già fatto il 26, giorno del loro arrivo. E non in provincia di Perugia, ma in una rivendita di Polinago, nel Modenese.
Si diressero invece verso Genova, dove li attendeva la Moby Aki che li avrebbe riportati in Sardegna. L’arrivo al porto poco dopo le 20,30, l’imbarco quasi immediato. I carabinieri, che monitoravano i loro movimenti, decisero di fare una perquisizione la mattina successiva, allo sbarco a Porto Torres. La perquisizione Il 30, all’alba, ad aspettare Franco Piras e Francesco Palmas c’erano i carabinieri del Norm, nucleo operativo radiomobile di Porto Torres, insieme alle unità cinofile della Guardia di finanza. La perquisizione fu di due tipi: personale e all’interno del furgone. Nel mezzo furono trovati bulloni, generi alimentari, un trolley nero di Palmas e uno rosso di Piras, due scaldacollo in pile di colore nero e una felpa nera con cappuccio. E all'interno del cassone c’era un macchinario agricolo voltafieno marca "Fella Turboheuer", di cui Piras e Palmas non furono in grado di fornire documentazione dell’acquisto ma solo un manuale d'uso. E poi ancora una stufa a legna e gasolio rossa, che dissero di aver acquistato il giorno precedente in zona Genova. I carabinieri decisero di appurare la provenienza del macchinario e trovarono un annuncio di vendita di un voltafieno, stessa marca e modello. Contattato, il negoziante disse di averlo venduto “a dei sardi”. Vennero fuori i dettagli dell’acquisto: a venderlo era stata la ditta Gibellini macchine, con sede a Polinago (Modena), ad acquistarlo la ditta Scarcella Marta di Bari Sardo in Ogliastra. La fattura era stata emessa il 26 e a firmarla era stato Franco Piras. Nessuna traccia di acquisti nella zona di Bastia Umbra.
Lo stub Ma il controllo non finì lì. Venne infatti eseguita la prova dello stub per prelevare eventuali residui di colpi d'arma da fuoco: sotto la lente oltre agli abiti indossati in quel momento anche la felpa e gli scaldacollo. L’esito fu positivo per quanto riguarda Francesco Palmas: : il Ris di Cagliari rilevò sui suoi vestiti due particelle "peculiari" ovvero derivanti dall'esplosione di colpi d'arma da sparo costituita da "tri-componente (piombo, bario, antimonio)" e di tre particelle "indicative" costituite due da "piombo e antimonio" ed una da "bario e antimonio". Dove? “Nella mano, avambraccio e viso parte sinistra”. Significa che Palmas, nella trasferta toscana, potrebbe avere imbracciato un fucile e sparato.